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L’ufficio era pieno di rumore e di gente che andava e veniva. Mi chiamò l’ispettore Fellows dalla Virginia. Le impronte sull’auto rubata corrispondevano a un certo John Tucci, di Philadelphia, attualmente latitante.
Dopo aver parlato con Fellows, chiamai un mio amico dell’FBI a Washington e poi parlai con la sede del Bureau a Philadelphia e con l’agente Cass Murdoch, che mi fornì un altro indizio interessante: Tucci era una pedina, piccola ma ben nota, del clan mafioso dei Martino.
Era un’informazione importante: da una parte mi forniva una pista da seguire e dall’altra indicava che il conducente dell’auto in cui Caroline era stata ritrovata con ogni probabilità non era l’assassino. Tucci faceva parte di un ingranaggio ben più grosso di lui.
«Perché Tucci era qui?» chiesi all’agente Murdoch. Bree mi ascoltava al vivavoce.
«O era stato assegnato a qualche ramificazione locale, oppure stava per fare carriera» mi rispose lei. «Avevano cominciato ad affidargli compiti più delicati, maggiori responsabilità. È stato arrestato diverse volte, ma mai condannato a pene detentive.»
«L’auto risulta rubata a Philadelphia» osservò Bree.
«Sì, be’, era la sua zona. E uso il passato deliberatamente, perché secondo me ci sono buone probabilità che sia morto, dopo il casino che è successo sulla I-95.»
«Possibili clienti a Washington?» domandai. «La famiglia Martino ha attività qui in città?»
«Che io sappia, no» mi rispose Cass Murdoch. «Ma evidentemente un legame con Washington c’è. John Tucci era uno scagnozzo di bassa leva: non può aver architettato lui il piano. Chissà com’era contento di aver ottenuto quell’incarico, povero illuso!»
Chiusi la comunicazione e presi qualche appunto per non scordarmi niente di quello che ci eravamo detti. Purtroppo ogni novità che scoprivo sollevava nuovi interrogativi.
Ma una cosa era chiara: non avevamo a che fare con un semplice omicidio, con un fatto isolato. Forse c’erano di mezzo sesso e perversione, ma non era escluso che si trattasse invece di una copertura. O tutti e due?