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Non era finita lì, ovviamente. C’erano tutti gli ingredienti per tenere viva l’attenzione dei lettori di quotidiani per mesi. La dottoressa Carbondale mi telefonò mentre stavo tornando a casa. Bree viaggiava sulla sua macchina. «All’esame tossicologico non risultano sostanze tossiche note» mi disse la dottoressa. «Niente droghe. Il tasso alcolico era 0.07. Aveva bevuto qualcosa, ma molto poco.»
Dunque Caroline non si drogava e non era stata avvelenata. Non mi sorpresi. «Possibile causa di morte?»
«Temo che non riusciremo a capirlo. Posso solo procedere per esclusione. Non posso determinare, per esempio, se sia stata percossa, strangolata, oppure...»
Si interruppe.
Finii io per lei. «Infilata in quella macchina mentre era ancora viva.»
«Ecco» disse lei, con un filo di voce. «C’è un’altra cosa che le devo dire.»
Strinsi i denti. Avevo voglia di prendere a pugni qualcosa. Mi feci forza e ascoltai fino in fondo.
«Abbiamo isolato i frammenti rimasti. Ci sono segni di morsicature ante mortem.»
«Morsicature?» Cercai un posto in cui fermare la macchina. «Di un essere umano o di un animale?»
«Umane, credo, ma non posso averne la certezza. Anche nelle circostanze più favorevoli, spesso è difficile distinguere fra una morsicatura e un livido. Ho chiamato un collega specializzato in odontoiatria forense. Ci sono frammenti ossei nei pochi tessuti rimasti pressoché intatti, quindi si vede solo...»
«La richiamo, dottoressa.»
Accostai e mi fermai in Pennsylvania Avenue, lasciando che gli automobilisti dietro di me strombazzassero e mi superassero. Non ce la facevo: era troppo, per me. L’ingiustizia, la crudeltà, la violenza sono il mio pane quotidiano, però...
Piegai la testa all’indietro e imprecai, rivolto al tetto della macchina, a Dio, a tutti e due. Perché succedevano certe cose? Poi appoggiai la fronte al volante, disperato. Pregai per Caroline, che non aveva avuto nessuno accanto nel momento del bisogno.