88

Dopo la commovente sosta da Kinkead’s, presi un taxi e mi feci portare in Fifth Street. Andai dritto nel mio studio a lavorare. Quella notte ricevemmo una visita sgradita. Erano quasi le undici quando Bree salì in mansarda a darmi la notizia.

«Alex, abbiamo compagnia. C’è una Ford Explorer parcheggiata di fronte a casa da circa un’ora, con due uomini a bordo. Non sono mai scesi: se ne stanno lì seduti a guardare la casa. Forse tengono d’occhio te.»

Bree ha un istinto infallibile per certe cose, quindi non dubitai che la faccenda fosse grave. Infilai la Glock nella fondina e mi misi una giacca a vento per nasconderla.

Scendendo al piano di sotto, passai in camera di Damon a prendere la sua vecchia mazza da baseball, una Louisville Slugger di legno massiccio, non d’alluminio.

«Per piacere, resta in casa» raccomandai a Bree prima di uscire. «Al minimo problema, chiama in centrale.»

«Va bene chiamare in centrale in caso di problemi, ma in casa non ci sto» ribatté. Aprii la porta e scesi gli scalini della veranda. La Ford era ferma dall’altra parte della strada, poco più avanti di casa nostra. L’uomo al volante stava scendendo dall’auto, quando sferrai il primo colpo con la mazza distruggendogli i fari posteriori di sinistra.

«Cosa cazzo fai?» gridò. «Sei pazzo?»

Alla luce del lampione vidi che era robusto, ma non enorme, aveva la testa rasata e un naso da pugile. Mi aspettavo un funzionario governativo, ma ora che lo avevo visto mi pareva al massimo un detective privato.

«Perché sorvegliate casa mia?» gridai. «Chi siete?»

Anche il suo collega scese dall’auto, ma entrambi si tennero a distanza.

«Alex?» disse Bree, avvicinandosi alle mie spalle. «Tutto bene?»

«Tutto bene» risposi a voce alta e chiara. «Targa di Washington, DCY 182.»

«Okay.»

Il tipo con la testa rasata mi mostrò i palmi delle mani. «Datti una calmata, amico. Non fai il poliziotto?»

«Mi darò una calmata quando mi avrete detto che cosa fate davanti a casa mia.»

«Non abbiamo cattive intenzioni, chiaro? Non ho nemmeno la pistola» rispose aprendo la giacca per mostrarmi che era disarmato. «Siamo stati incaricati di tenerti d’occhio per un po’. Tutto qui.»

«Me, o anche la mia famiglia?» replicai sollevando di nuovo la mazza da baseball.

«No, no. Solo te.» Non capii se era la verità o se mi stava semplicemente dicendo quello che volevo sentirmi dire.

«Per chi lavorate?» chiesi.

«Non lo sappiamo. Sul serio. Per me è un lavoro, stop. So solo che faccia hai e dove sei stato oggi.»

Questo non mi tranquillizzò affatto. Mi spostai leggermente e mandai in pezzi le altre luci di posizione.

«E dove sono stato oggi?»

«A indagare su un omicidio in cui è coinvolto uno detenuto nel carcere di Alexandria. Fammi un favore: lasciami stare la macchina!»

C’era stato un capovolgimento nelle indagini. Me ne resi conto di colpo, in maniera inequivocabile. Coloro cui davo la caccia stavano cominciando a dare la caccia a me.

«Ti conviene stare più attento, sai» intervenne l’altro.

Feci un passo nella sua direzione. «E perché?»

«Perché non è di noi che ti devi preoccupare. Non so chi ci ha mandato e neanche cosa vogliono da te, ma credo sia gente di un certo peso. Non dico altro. Prendilo per quello che vale.»

«Grazie dell’avvertimento.» Gli indicai la strada. «Qui avete finito. Se vi becco un’altra volta da queste parti, vi arresto e vi faccio sequestrare la macchina, chiaro?»

«Ci arresti?» Adesso che il peggio era passato, il primo decise di essere sfacciato. «E per che cosa ci arresti?»

«Faccio il poliziotto, no? Qualcosa troverò.»

«E la mia macchina? Ci saranno cinquecento dollari di danni da pagare!»

«Mettili in conto ai tuoi clienti» gli dissi. «Se lo possono permettere, tranquillo.»

Il segno del male
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