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Quattro ore dopo, Nicholson annunciò che voleva dirci «tutto quello che sapeva». Lo faceva per aiutarci e, soprattutto, per acquisire potere contrattuale. Fra l’altro, ci spiegò come accedere a una cassetta di sicurezza in una banca di Washington dove erano custodite prove che, a suo dire, potevano esserci utili. Ne dubitavo, ma decisi comunque di andare a controllare.

Non fu facilissimo, ma la mattina dopo Sampson e io eravamo davanti alla Exeter Bank, in Connecticut Avenue, con tutti i documenti e i mandati necessari, una chiave prelevata dalla scrivania di Nicholson e due valigette vuote con cui portare via eventuali prove.

La Exeter Bank non era un normale istituto di credito, a cominciare dal fatto che per entrare dovemmo suonare alla porta e presentarci. L’atrio era asettico e niente affatto invitante. Non c’era l’ombra di un dépliant o di un modulo da riempire.

Alla reception ci diressero verso una fila di uffici chiusi da vetrate, nel mezzanino. Un’impiegata dietro il vetro posò il telefono e ci seguì con lo sguardo mentre ci avviavamo verso le scale.

Sampson le sorrise e la salutò con la mano. «Sembra di essere in un film di James Bond» disse a denti stretti. «Venga, dottor Cross. La stavamo aspettando.»

La direttrice della filiale, Christine Currie, ci stava effettivamente aspettando, con un sorriso e una stretta di mano invitanti quanto un piatto di porridge avanzato dal giorno prima.

«Tutto questo è un po’ irregolare per i nostri standard» disse con voce nasale e un accento britannico ancora più snob di quello di Nicholson. «Mi auguro vorremo procedere senza creare troppo scompiglio. Pensate che sia possibile, signori?»

«Certo» la rassicurai. Anche Sampson e io volevamo la stessa cosa: uscire da quel posto il più presto possibile.

Quando la signora Currie ebbe controllato tutte le carte e confrontato la firma di Nicholson con quella depositata in almeno cinque o sei schedari diversi, ci accompagnò a un ascensore in fondo al mezzanino. Entrammo e l’ascensore scese molto veloce nel sottosuolo.

«Quanto costa aprire un conto qui da voi?» chiese Sampson. Guardai fisso davanti a me, senza dire una parola. Gli ambienti snob a volte fanno questo effetto a John Sampson; anche le persone snob, ma soprattutto le persone sospette, i criminali e chi li favoreggia.

Uscendo dall’ascensore ci trovammo in una piccola anticamera. C’era una guardia armata davanti all’unica altra porta e, dietro una scrivania enorme, un impiegato in giacca e cravatta. La signora Currie firmò un registro e ci portò direttamente nella stanza delle cassette di sicurezza.

Quella di Nicholson era la numero 1665, una delle più grandi, in fondo.

Inserimmo ciascuno la sua chiave per aprire lo sportello, quindi la signora Currie tirò fuori una lunga cassetta rettangolare e la portò in uno dei salottini nel corridoio adiacente.

«Vi aspetto qui fuori, per ogni evenienza» disse in un tono da cui si capiva che intendeva dire Cercate di non metterci troppo tempo.

Ne bastò ben poco. Nella cassetta c’erano una trentina di DVD, ognuno nella sua custodia di plastica, con la data scritta a pennarello nero. C’erano anche due raccoglitori di cuoio contenenti pagine e pagine scritte a mano: appunti, elenchi, indirizzi, conti.

Pochi minuti dopo ce ne andammo, portandoci via il tutto nelle nostre due valigette.

«Che Dio assista il signor Nicholson» dissi all’imperturbabile signora Currie.

Il segno del male
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