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Non ci volle molto perché Tony Nicholson cominciasse a sbottonarsi. Prima parlò del club e poi anche dei ricatti. Succede sempre: quando si sentono mancare la terra sotto i piedi, gli indagati fanno a gara a chi parla di più. A sentir lui, aveva organizzato tutto Mara Kelly: il trasferimento dei fondi su conti cifrati presso banche asiatiche, i sistemi di crittografia a chiave pubblica, tutti i provvedimenti presi per potersi rendere irreperibili in caso di necessità.
«Perché se la sarebbero presa con lei, altrimenti?» continuava a ripeterci. «Non lasciatevi ingannare dal suo bel faccino. Quella donna non è scema come sembra.»
Evidentemente la loro storia d’amore era finita: la faccenda cominciava a farsi interessante.
Nicholson era seduto sulla stessa sedia malferma da ore, con la gamba ferita immobilizzata in un tutore. A giudicare dalla smorfia che aveva sulla faccia, l’effetto degli antidolorifici si stava esaurendo.
«Okay, Tony» dissi. «Almeno è un inizio. Adesso parliamo dei veri motivi per cui siamo qui.»
Tirai fuori una cartellina e cominciai a posare foto sul tavolo. «Timothy O’Neill, Katherine Tennancour, Renata Cruz, Caroline Cross.»
Per un attimo lo vidi sinceramente sorpreso, ma solo per un attimo. Aveva un bel sangue freddo. «Chi sono?»
«Lavoravano per lei.»
«È possibile» ammise. «C’è un sacco di gente che lavora per me.»
«La mia non era una domanda.» Gli indicai la foto di Caroline. «È stata ritrovata mutilata in maniera tale da renderla irriconoscibile. Ha filmato anche quello, Nicholson?»
«Sul serio, non so di che cosa state parlando. Non capisco dove volete arrivare. Cercate di spiegarvi meglio, per cortesia.»
«Come è morta?»
Intravidi un lampo negli occhi di Nicholson. Abbassò lo sguardo sulla foto e poi guardò di nuovo me.
«Caroline Cross, ha detto? Anche lei si chiama Cross, giusto?» Vedendo che non rispondevo, sorrise. «Scusi se glielo dico, ispettore, ma mi sembra che lei sia troppo coinvolto.»
Mi alzai di scatto. Se il tavolo non fosse stato imbullonato al pavimento, penso che glielo avrei rovesciato addosso. Avevo voglia di inchiodarlo al muro.
Sampson fu più veloce di me: fece il giro del tavolo e gli tolse la sedia da sotto il sedere. Nicholson cadde a terra come un pesce quando i pescatori svuotano le reti. Lanciò un grido.
«La mia gamba! La mia gamba, maledizione! Bastardi! Io vi denuncio!»
Sampson lo ignorò. «Sa che in Virginia c’è la pena di morte, vero?»
«Dove vi credete di essere, ad Abu Ghraib? Lasciatemi in pace!» Nicholson digrignava i denti e batteva i pugni per terra. «Non ho ammazzato nessuno!»
«Però sa chi è stato» gridai a mia volta.
«Se avessi delle informazioni da darvi, credete che non ve le darei? Aiutatemi a rialzarmi, su! Forza, datemi una mano. Ehi! Ehi!»
Uscimmo dalla stanza. E, già che c’eravamo, ci portammo via le sedie.