23
L’operatore del pronto intervento mi aiutò a praticare a Nana una manovra che chiamò «sublussazione della mandibola», per favorire la respirazione. Era un incubo per me inimmaginabile. Dovetti afferrarle la mandibola e spingerla in avanti, tenendole aperte le labbra con i pollici.
Nana riprese a respirare leggermente meglio, anche se sempre in maniera irregolare.
Sentii la voce di Ali alle mie spalle, bassa e spaventata. «Perché Nana è lì per terra? Cosa le è successo, papà?»
Era in piedi sulla soglia e si teneva allo stipite della porta come se non volesse entrare in cucina.
Bree mi diede il cambio, per lasciarmi andare da lui.
«Non si sente bene» gli spiegai. «È caduta. Ma adesso sta arrivando l’ambulanza che la porta in ospedale.»
«Morirà?» mi domandò lui, con le lacrime agli occhi.
Non gli risposi, ma lo strinsi forte. Non volevo lasciare Nana. «Staremo qui e penseremo a lei e a quanto le vogliamo bene. Okay?»
Ali annuì, fissando la bisnonna.
«Papà?»
Mi voltai e vidi Jannie nel corridoio. Era ancora più scioccata e spaventata di suo fratello. Le feci cenno di avvicinarsi. Aspettammo l’ambulanza insieme, abbracciati.
Sentimmo una sirena in lontananza e, chissà perché, quel suono parve peggiorare ulteriormente la situazione.
I soccorritori entrarono, presero i parametri vitali di Nana e le somministrarono l’ossigeno.
«Come si chiama?» chiese uno di loro.
«Regina.» Non riuscivo quasi a pronunciare il suo nome. Nana è davvero una regina, per tutti noi.
«Regina? Mi senti?» Il medico le posò il pugno chiuso sullo sterno e lo spinse verso il basso. Nana rimase immobile. «Non risponde agli stimoli dolorosi. Vediamo il ritmo cardiaco.»
Mentre lavoravano, mi chiesero alcune cose: prendeva farmaci? Era migliorata o peggiorata, da quando avevamo chiamato l’ambulanza? Aveva già avuto problemi cardiocircolatori, e c’erano cardiopatici in famiglia?
Continuavo a tenere Ali per mano, perché mi sentisse vicino, ma anche per trarre conforto da lui. Jannie era al mio fianco.
I soccorritori le misero una flebo al braccio, un collare intorno al collo e una tavola rigida sotto la schiena. Jannie nascose la faccia sul mio petto e scoppiò in singhiozzi.
Anche Ali si mise a piangere, a quel punto, e così Bree.
«Guarda come siamo ridotti» mi sforzai di dire. «Ecco perché Nana non ci può lasciare da soli.»
La sollevarono, la distesero su una barella e la portarono fuori. Li seguimmo. La sala da pranzo e il soggiorno vuoti mi misero una gran tristezza.
Bree, che era scomparsa un momento, tornò con il mio cellulare, una camicia e un paio di scarpe. Prese Ali in braccio e mise una mano sulla spalla di Jannie. Sui loro volti vidi riflessa la stessa angoscia che provavo io.
«Vai con Nana, Alex. Noi ti seguiamo in macchina.»