108
Dopo altri due giorni di intenso e noiosissimo lavoro d’ufficio, anticipai di un giorno il weekend in modo da potermi finalmente dedicare a quello che i miei figli chiamano «il reinserimento», che consiste fondamentalmente nel tenere il cellulare spento e passare più tempo possibile con loro, cercando di «reinserirmi» nel ruolo di padre. Bree e io riuscimmo però a rubare qualche ora solo per noi la domenica pomeriggio.
Andammo in un posto che si chiama Tregaron, a Cleveland Heights. È una grande villa in stile neogeorgiano che fa parte del campus della Washington International School e che, durante l’estate, è disponibile per cerimonie e feste private. Ci portò a visitarla la disponibilissima responsabile delle relazioni esterne, Mimi Bento.
«E questa è la Terrace Room» disse, facendoci strada dal sontuoso atrio in un salone con parquet lucidissimo, elaborati lampadari e grandi finestre che davano su un patio ombreggiato da un gazebo. Oltre il patio c’erano gli splendidi giardini della villa e una vista mozzafiato sulla Klingle Valley. Niente male, come location. Anzi, bellissima. E di classe.
La signorina Bento consultò un calendario nella cartellina di pelle che aveva sottobraccio. «È libera l’undici agosto, il venticinque oppure... l’estate prossima. Quante persone prevedete di invitare?»
Bree e io ci guardammo. Non ci avevamo mai pensato: sembrerà strano, ma era così. Ci sarebbe piaciuta una cosa abbastanza ristretta, probabilmente, ma non eravamo sicuri.
«Non lo sappiamo ancora» rispose Bree e le labbra della signorina Bento si piegarono all’ingiù in maniera quasi impercettibile. «Però siamo sicuri di volere cerimonia e ricevimento nello stesso posto. E una cosa semplice.»
«Certo» replicò la PR e i simboli del dollaro che le lampeggiavano nello sguardo si rimpicciolirono visibilmente. «Be’, perché non vi guardate ancora un po’ in giro? Se avete delle domande, mi troverete in ufficio.»
Quando se ne fu andata, uscimmo sulla terrazza. Era una magnifica giornata di primavera ed era facile immaginare una festa di nozze in un posto così.
«Hai delle domande?» disse Bree.
«Sì.» La presi per mano e la attirai a me. «È qui che faremo il nostro primo ballo?»
Cominciammo a ballare, mentre io le canticchiavo nell’orecchio alcune battute di Gershwin. No, no, they can’t take that away from me...
«Sai una cosa?» disse Bree tutto a un tratto. «Questo posto è magnifico. Mi piace moltissimo.»
«Allora è deciso» dissi.
«Però penso che dovremmo lasciar perdere.»
Smisi di ballare e la guardai in faccia.
«Non ho voglia di passare i prossimi mesi a pensare al colore degli inviti o alla disposizione dei posti a tavola» disse. «Non è quello il matrimonio che voglio, e tu nemmeno. Io voglio soltanto sposare te. Adesso.»
«Adesso?» le chiesi. «Adesso adesso?»
Rise e mi baciò. «Be’, no. Ma molto presto. Appena Damon torna da scuola. Che cosa ne pensi?»
Non ebbi bisogno di pensare affatto. L’unico mio desiderio riguardo a quel matrimonio era che fosse esattamente come lo voleva Bree. In una location da favola o davanti a un giudice di pace in un ufficio di Washington, per me era lo stesso. Purché fossi con lei.
«D’accordo. Appena Damon torna da scuola» dissi, suggellando il patto con un altro bacio. «La prossima domanda è: pensi che possiamo sgattaiolare via dal parco, o dobbiamo dirlo a Mimi Bento?»