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Portai persino il caffè.
Anche Siegel lo aveva portato, quindi la caffeina non ci mancava. Parcheggiammo la Crown Vic che ci aveva messo a disposizione l’FBI sul lato est di Twelfth Street, tra M e N Street.
Era un tratto di strada stretto, alberato, con molti lavori in corso. Il palazzo di Frances Moulton – che speravamo fosse Steven Hennessey – si chiamava The Midlands.
Il suo appartamento era all’ottavo di dieci piani e aveva due grandi finestre che si affacciavano sulla strada. Non c’erano luci accese, quando Max e io arrivammo, pronti a una lunga attesa.
Dopo aver detto tutto quello che c’era da dire sulle indagini, ci trovammo un po’ in imbarazzo. Ci furono alcuni lunghi silenzi, ma alla fine ricominciammo a chiacchierare. Siegel mi fece una di quelle tipiche domande che i federali fanno quando non hanno niente di meglio da dire.
«Allora, come mai hai deciso di entrare in polizia?» disse. «Se non sono indiscreto.»
Sorrisi, guardandomi le ginocchia. I suoi tentativi di fare l’amicone erano quasi esagerati.
«A Hollywood non sono riuscito a sfondare. E nemmeno nel basket» risposi, serissimo. «E tu?»
«Sai com’è. La prospettiva di viaggiare in Paesi esotici. L’orario flessibile.»
Per una volta, riuscì a farmi ridere. Prima di uscire di casa avevo deciso che non sarei stato tutta la notte a rimuginare su quanto era detestabile Siegel, perché sarebbe stata una vera e propria tortura.
«Ti dico una cosa» continuò. «Credo che sarei anche potuto diventare un delinquente molto in gamba, se le cose fossero andate diversamente.»
«Non dirmi che hai ideato l’omicidio perfetto.»
«Perché? Tu no?» ribatté Siegel.
«No comment» replicai, togliendo il coperchio al mio secondo bicchiere di caffè. «Tutti i poliziotti ci pensano e ci ripensano... Se non è il delitto perfetto, è il furto perfetto.»
Siegel lasciò passare un po’ di tempo, poi disse: «Ma se ti si presentasse l’occasione di far fuori qualcuno – qualcuno che si merita veramente di morire – e fossi sicuro di farla franca, lo uccideresti?»
«No» risposi. «È una china troppo pericolosa, secondo me. Ci ho pensato.»
«E dai!» Siegel rise e si appoggiò alla portiera voltandosi in modo da guardarmi bene in faccia. «Metti di trovarti a tu per tu con Kyle Craig in un vicolo buio. Senza testimoni. Lui ha finito le munizioni e tu hai ancora la tua Glock. Mi stai dicendo che non premi subito il grilletto, rimandando a dopo gli scrupoli di coscienza?»
«Esatto» dissi. Mi pareva un po’ strano che avesse nominato proprio Kyle Craig, ma lasciai correre. «Sarei tentato, ma non lo ammazzerei. Lo arresterei. Lo farei tornare nel supercarcere di Florence.»
Mi guardò con un gran sorriso come se si aspettasse che sorridessi anch’io e disse: «Sul serio?»
«Sul serio.»
«Non so se crederti o no.»
Mi strinsi nelle spalle. «Che cosa vuoi che ti dica?»
«Che sei un essere umano. Su, Alex, non si va avanti in questo mestiere senza almeno un piccolo cedimento al lato oscuro.»
«Verissimo» ammisi. «Lo so per esperienza. Sto solo dicendo che, in quella situazione, non premerei il grilletto.» Non ero del tutto sicuro che avrei resistito alla tentazione, ma non volevo affrontare l’argomento con Max Siegel.
«Interessante» commentò, voltandosi di nuovo in avanti, verso la facciata del Midlands. «Molto interessante.»