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Uscii dal cortile della chiesa un quarto d’ora dopo e vidi che lungo la strada si era raccolta una folla di giornalisti.
Vidi anche Max Siegel.
Era di schiena e stava parlando con una decina di reporter assiepati sul marciapiede.
«La nostra Cyber Unit sta esplorando tutti i canali» stava dicendo, quando mi avvicinai. «Ma siamo propensi a credere che le email siano state inviate da un portatile rubato.»
«Agente Siegel?» Si voltarono tutti dalla mia parte. Mi ritrovai una selva di microfoni sotto il naso. «Posso parlarle un momento?»
Siegel sorrise. «Ma certo» rispose. «Scusatemi un attimo.»
Rientrai nel cortile della chiesa e aspettai che mi raggiungesse. Almeno lì potevamo parlare senza che ci sentissero.
«Cosa c’è?» mi chiese Siegel, venendomi incontro.
Voltai le spalle alla stampa e abbassai la voce. «Devi stare più attento a con chi parli.»
«In che senso?» chiese lui. «Non capisco.»
«Nel senso che forse, stando a Washington da più tempo di te, conosco la metà dei giornalisti con cui parlavi. Stu Collins, per esempio. Vorrebbe diventare il prossimo Woodward o Bernstein, e potrebbe anche farcela, a parte che gli manca il talento. Ti citerà fuori contesto, vedrai. Per non parlare di Shelly Comesichiama, quella con il microfono rosso. Appena può, dà addosso all’FBI. Abbiamo già avuto una fuga di notizie che ci ha causato notevoli danni. Non vogliamo che ce ne siano altre, no?»
Mi guardò come se avessi parlato in swahili. Ebbi un’illuminazione.
«Oh, Gesù! Non dirmi che sei stato tu a rivelare ai giornalisti la storia dei due veicoli a Woodley Park.» Lo guardai in faccia. «Dimmi che mi sbaglio, Siegel.»
«Ti sbagli» rispose subito lui. Fece un passo verso di me e abbassò la voce. «Non mi accusare di cose di cui non sai niente, per favore. T’avverto, Cross...»
«Ma falla finita!» gridai, furioso per i suoi modi e le sue ingerenze. Non ne potevo più di lui e delle sue stronzate.
Mi pentii subito di aver alzato la voce. I giornalisti ci stavano guardando. Presi fiato e riprovai.
«Senti, Max...»
«Fidati un po’ di più di me, Alex» replicò, facendo un passo indietro per prendere le distanze da me. «Non sono nato ieri. Terrò conto di quello che mi hai detto ma, per il resto, lasciami fare il mio lavoro come io ti lascio fare il tuo.»
Sorrise e mi strinse la mano, facendo il collega aperto e disponibile, a beneficio dei giornalisti che ci guardavano. Feci buon viso a cattivo gioco e risposi alla stretta, ma la mia prima impressione sul conto di Siegel aveva avuto l’ennesima conferma: quell’uomo era narcisista ed egocentrico e io potevo fare ben poco per impedirgli di imperversare.
«Sii prudente» gli dissi.
«Sono sempre prudente» rispose lui. «Il mio secondo nome è ’prudente’.»