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Quando Sampson e io uscimmo dalla sala conferenze, ci trovammo davanti alla porta Joyce Catalone del Communications Office.
«Stavo per entrare a chiamarvi» disse. «Meno male che siete usciti.»
Guardai l’ora: erano le 16.45. Voleva dire che di sotto c’erano almeno trenta giornalisti in attesa di tempestarmi di domande per i notiziari delle sei. Insomma, era venuto il momento di dar da mangiare agli affamati.
Joyce e Sampson scesero con me. Prendemmo le scale, in maniera che Joyce avesse il tempo di sottopormi due proposte.
«Keisha Samuels del Post vorrebbe pubblicare un servizio sul supplemento domenicale.»
«No» risposi. «Keisha è simpatica, brava e obiettiva, ma è troppo presto per un servizio approfondito.»
«E sia CNN che MSNBC sono disposti a darci mezz’ora in prima serata, se sei pronto a partecipare a uno dei loro talk show.»
«Se non abbiamo niente da dire, è meglio che non andiamo in TV, Joyce» replicai. «Mi piacerebbe tanto avere qualcosa da dire, ma...»
«Non c’è problema» fece lei. «Ma non venire a piangere da me, se in futuro avrai l’esigenza di andare in TV e loro non avranno più interesse.» Joyce lavorava da molto tempo al dipartimento e faceva la chioccia con gli investigatori.
«Io non piango mai» dissi.
«A parte quando ti metto alle corde io» disse Sampson, fingendo di tirarmi un gancio.
«Per il tuo alito, non per i tuoi pugni» replicai.
Eravamo arrivati al piano terra. Joyce si fermò con la mano sulla porta. «Beavis? Butt-Head? Vogliamo concentrarci, adesso?» Joyce Catalone era bravissima nel suo lavoro e mi faceva piacere avere il suo appoggio nei briefing che tenevamo quotidianamente con i giornalisti e che, certe volte, erano un massacro.
Certe volte? Non appena uscimmo dal Daly Building ci assalì uno sciame di reporter.
«Alex? Parlaci di Woodley Park.»
«Ispettore Cross?»
«È vero che...?»
«Per favore!» urlò Joyce con la sua voce tonante, ormai diventata leggendaria. «Lasciatelo parlare, prima di subissarlo di domande. Un po’ di pazienza!»
Ricapitolai in breve quello che era successo nelle ultime ventiquattr’ore e accennai per quanto potevo ai risultati della perizia balistica dell’FBI, senza entrare nei dettagli. Quindi lasciai spazio alle domande.
Ad aggiudicarsi la prima fu Channel 4. Riconobbi il microfono, ma non il giornalista, che mi sembrava un ragazzino di dodici anni. «Vuole lanciare un appello al killer? Vuole dirgli qualcosa?»
Ci fu un istante di silenzio, il primo da quando eravamo arrivati: volevano sentire tutti che cosa avevo da dire.
«Qualsiasi forma di contatto da parte del responsabile sarà a noi gradita» risposi. Poi guardai la telecamera. «Sa dove trovarci.»
Non era granché, come appello. Forse alcuni avrebbero voluto che fossi più autorevole e duro. Ma all’interno della squadra che seguiva le indagini avevamo deciso per una linea morbida: niente provocazioni, niente dichiarazioni definitive, niente giudizi affrettati finché non avessimo avuto un quadro più preciso.
«La prossima domanda è tua, James» disse Joyce, per non perdere il ritmo.
James Dowd, corrispondente nazionale della NBC, aveva un fascio di fogli in mano, che consultò mentre parlava.
«Ispettore Cross, quanto sono fondate le voci secondo cui in Woodley Park sarebbero stati avvistati una Buick Skylark blu targata New York e un vecchio Suburban scuro? Avete scoperto se hanno a che fare con l’assassinio?»
Mi colse di sorpresa. E mi fece arrabbiare. Il problema era che Dowd era molto in gamba.
Avevo un vecchio amico, Jerome Thurman, del Primo distretto, che stava indagando su quelle auto in maniera discreta dalla sera dell’omicidio Dlouhy. L’elenco di possibilità ricavate dall’ufficio della motorizzazione era lunghissimo, però. Oltre al fatto che non sapevamo neppure se quei veicoli fossero legati all’assassino.
Ma la cosa che mi scocciava di più era che non volevamo rendere nota la storia delle due macchine. Invece qualcuno doveva averlo lasciato trapelare. E pensare che solo pochi minuti prima avevo chiesto la massima discrezione...
Diedi l’unica risposta possibile: «No comment». Era come far dondolare una bistecca davanti a un branco di cani affamati. La pressione dei cronisti si fece ancora più forte.
«Per favore!» gridò di nuovo Joyce. «Uno per volta. Sapete come funziona, no?»
Era una battaglia persa, però. Risposi ancora a quattro domande con un «no comment», facendo il muro di gomma, finché alla fine si rassegnarono e cambiarono argomento. A ogni modo, il danno era fatto. Se quei veicoli appartenevano davvero agli assassini, adesso erano avvisati. Avevamo perso un vantaggio importante.
Era la prima volta che trapelava una notizia riservata dal nostro team, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe stata l’ultima.