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Varcata la soglia, corsi verso le scale. Erano dieci piani, ma ero piuttosto in forma, e anche l’adrenalina fece la sua parte.
Pochi minuti dopo, mi affacciai da una specie di ripostiglio sul tetto del Midlands ed ebbi un curioso déjà vu: mi sembrava di essere di nuovo sul tetto del museo.
Guardai a destra e a sinistra, con la Glock puntata in avanti: niente. Non c’era nessuno nemmeno dietro la porta.
Le pareti del ripostiglio mi impedivano di vedere il lato del tetto che si affacciava su Twelfth Street, dove doveva essersi appostato Hennessey, se aveva sparato da lì e non dall’altro palazzo.
Udii delle sirene in lontananza e sperai che stessero venendo da noi.
Appoggiai la schiena al muro e lentamente strisciai verso l’angolo, con la pistola in pugno.
Il lato del tetto che dava su Twelfth Street era poco illuminato, ma mi parve deserto. C’erano solo due sedie pieghevoli e un bidone di metallo sdraiato su un fianco.
Di Hennessey nemmeno l’ombra.
Arrivai fino al parapetto e guardai giù. Twelfth Street era silenziosa. A parte l’auto del Bureau con le portiere aperte e un po’ di cocci di vetro per terra, non c’erano tracce dell’accaduto.
Vidi addirittura passare alcune persone ignare, che non si accorsero di nulla.
Poi, sporgendomi per vedere meglio, urtai con il piede qualcosa che produsse un tintinnio metallico. Tirai fuori la torcia, la puntai per terra e vidi alcuni bossoli.
Un bel po’ di bossoli.
Con il battito accelerato, mi voltai di scatto e mi trovai di fronte la canna di una Walther nove millimetri.
L’uomo che la teneva a due centimetri dalla mia fronte, e che presumibilmente era Steven Hennessey, aveva il dito sul grilletto.
«Non ti muovere» mi ordinò. «Non azzardarti a muovere un solo muscolo. A questa distanza non hai scampo.»