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L’uomo che parlava da solo era quasi all’angolo, quando Sampson e io uscimmo dalla mensa. Mi era sembrato sulla cinquantina, ma correva veloce.
«Maledizione, maledizione, maledizione...»
Gli inseguimenti a piedi sono un casino. Sempre. E soprattutto sono l’ultima cosa che si ha voglia di fare al termine di una lunga giornata di lavoro. Purtroppo invece Sampson e io ci ritrovammo a correre a perdifiato in Second Street dietro a un pazzo.
Gli gridai un paio di volte di fermarsi, ma evidentemente non rientrava nei suoi piani.
Il traffico dell’ora di punta era congestionato quanto bastava per permettergli di attraversare la strada con relativa facilità.
Anch’io attraversai dietro di lui, passando fra un taxi e un camion della EMCOR, mentre due uomini seduti su sedie di plastica pieghevoli davanti all’ingresso della mensa gridavano: «Corri, amico, corri!»
«Dai dai dai!»
Non credo incitassero me.
L’uomo continuò a correre ed entrò nel piccolo parco pubblico vicino alla sede del ministero del Lavoro, che taglia in diagonale fra i palazzi verso Indiana Avenue. Ma non arrivò molto lontano.
Il parco è in salita, a terrazze, e nell’arrampicarsi sul primo dei muretti l’uomo in fuga perse il vantaggio che aveva su di me. Misi un piede sul muretto e abbrancai il fuggiasco per le spalle. Finimmo tutti e due sulla nuda terra, che per fortuna era un po’ meno dura dell’asfalto.
L’uomo si divincolò cercando di liberarsi e, non riuscendoci, provò a mordermi. Poi arrivò Sampson, che lo inchiodò a terra con un ginocchio, e io mi rialzai velocemente.
«No! No! Vi prego!» cominciò a gridare il barbone. «Non ho fatto niente di male! Sono innocente!»
«E questo cos’è?»
Nella tasca laterale del cappotto lurido aveva un coltello, nascosto nel cartone di un rotolo di carta igienica chiuso con del nastro adesivo.
«Non potete portarmelo via! Vi prego! È mio!»
«Non te lo porto via» risposi. «Ma per il momento lo tengo io.»
Lo aiutammo a rialzarsi e lo facemmo sedere sul muretto.
«Hai bisogno di un medico?» gli chiesi poi nel vedere che cadendo si era graffiato la fronte. Mi faceva quasi pena, lì davanti a me tutto tremante, nonostante fino a un attimo prima si fosse difeso piuttosto bene e avesse cercato di staccarmi un dito con un morso.
«No, no» disse.
«Sicuro?»
«Non sono tenuto a rispondere alle vostre domande. Non avete motivo di arrestarmi.»
Parlava un buon inglese, nonostante qualche esitazione, e chiaramente era meno fuori di testa di quanto mi fosse sembrato in un primo momento. Ma continuava a non guardarci in faccia.
«E questo?» dissi mostrandogli il coltello e porgendolo a Sampson. «Senti, stasera non hai mangiato niente. Vuoi un hot dog? Qualcosa da bere?»
«Non sono tenuto a parlare con voi» ribadì.
«Ho capito. Va bene una Coca?»
Annuì, con gli occhi bassi.
«Un hot dog e una Coca» disse Sampson avviandosi verso i camioncini in D Street. Siegel e i suoi erano sul marciapiede a guardare. Se non altro questa volta Max si teneva a distanza: era un piccolo miglioramento.
«Senti» dissi al barbone. «Avrai notato che non ti ho chiesto nemmeno come ti chiami. A me interessa soltanto trovare il tipo della foto, e ho l’impressione che tu sappia qualcosa che non mi stai dicendo.»
«No, no, no. Sono solo un pover’uomo» insistette.
«E allora perché sei scappato?» ribattei.
Ma quello si ostinava a non rispondere e io non potevo costringerlo. Su questo aveva ragione: non potevo trattenerlo solo perché mi era sembrato sospetto.
A parte il fatto che c’erano altri modi per ottenere delle informazioni.
Quando Sampson tornò con il panino, il barbone lo divorò in tre bocconi, tracannò la bibita e si rialzò.
«Posso andare?» chiese.
«Qui c’è il mio numero» gli dissi. «Caso mai cambiassi idea.»
Gli porsi un biglietto da visita e Sampson gli restituì il coltello nel suo fodero di cartone. «Telefonarmi non ti costa niente» gli spiegai. «Basta che dici al primo poliziotto che incontri che hai bisogno di parlarmi. E non combinare guai con quel coltello, okay?»
Non ci salutammo neppure, naturalmente. L’uomo si infilò in tasca il coltello e Sampson e io rimanemmo a guardarlo mentre si allontanava verso D Street.
«Dimmi, John» mormorai dopo un po’. «Stai pensando anche tu la stessa cosa che penso io?»
«Credo di sì» rispose. «Quello sa qualcosa. Ma lasciamo che giri l’angolo, prima.»
«Ottima idea. Chiedo a Siegel di finire lui, alla mensa. Poi mandiamo questa lattina al laboratorio per vedere se ci dice qualcosa.»
Il nostro uomo era appena arrivato all’angolo con First Street. Girò a sinistra e sparì alla nostra vista.
«Okay, andiamo» sospirò Sampson. «Se ho novità, ti chiamo.»
«Idem» dissi, e ci separammo.