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Tornato a casa, saltai il secondo e il terzo gradino della veranda per evitare scricchiolii. Era l’una e mezzo di notte, ma in cucina aleggiava ancora profumo di biscotti al cioccolato. Erano per Jannie, che aveva una festa a scuola. Mi sentii un bravo padre perché sapevo che aveva una festa e un cattivo padre perché non avevo idea di che festa fosse.
Rubai un biscotto: era delizioso, con un lieve retrogusto di cannella. Prima di salire di sopra, mi tolsi le scarpe.
Dal corridoio, vidi che in camera di Ali c’era ancora la luce accesa. Entrai e trovai Bree che dormiva accanto al letto del bambino: siccome Ali aveva qualche linea di febbre, Bree si era portata la poltrona di pelle da camera nostra per stargli accanto.
Aveva in grembo un libro di Beverly Cleary.
Ali aveva la fronte fresca, ma si era scoperto e aveva buttato per terra il suo orsacchiotto, Truck. Glielo rimisi accanto e gli rimboccai le coperte.
Quando cercai di toglierle il libro, Bree lo strinse con forza.
«E vissero per sempre felici e contenti» le sussurrai nell’orecchio.
Lei sorrise ma non si svegliò, come se la mia voce fosse entrata nei suoi sogni. Non mi dispiaceva essere nei suoi sogni e quindi la presi in braccio e la trasportai di peso nel nostro letto.
Ero tentato di toglierle i pantaloni del pigiama e la maglietta, e magari anche tutto il resto, ma dormiva così beata che non ebbi cuore di svegliarla. Mi coricai accanto a lei e la guardai dormire per un po’. Era bellissima.
Inevitabilmente, dopo un po’ mi tornò in mente il caso, i due morti che avevo appena visto.
Non riuscivo a fare a meno di pensare ai giorni cupi del 2002, quando avevo assistito a scene molto simili. La parola «cecchino» scatena brutti ricordi a molti abitanti di Washington, e io sono fra questi. Le differenze, però, c’erano, ed erano spaventose. Innanzi tutto, mi sembrava che questo assassino fosse più calcolatore. Per fortuna, dopo un po’ mi addormentai. Contando cadaveri anziché pecore, purtroppo.