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Era metà mattina e io ero con Sid Dammler, uno dei soci anziani dello studio di consulenza Dammler-Mickelson, in L Street. Craig Pilkey lavorava per quello studio come «uomo della pioggia», come si dice in gergo. L’anno precedente, aveva fatto fatturare allo studio undici milioni di dollari. In un modo o nell’altro, sicuramente, Dammler e Mickelson avrebbero sentito la sua mancanza.
La loro posizione ufficiale fino a quel momento era: «Non siamo al corrente di alcun illecito». È una frase che a Washington viene usata spesso per coprirsi il deretano senza correre rischi giudiziari.
Cercavo di non avere pregiudizi nei confronti di Dammler. Mi riuscì difficile, però, dopo quaranta minuti di anticamera e altri venti di risposte monosillabiche ed evasive, pronunciate con l’espressione di chi preferirebbe farsi devitalizzare un dente, piuttosto che parlare con te.
Dalle mie ricerche avevo appreso che, prima di andare a lavorare allo studio D-M, Craig Pilkey, nato a Topeka, Kansas, era stato membro del Congresso degli Stati Uniti per tre mandati di due anni ciascuno e si era fatto una certa reputazione come portavoce del settore bancario al Campidoglio. Lo chiamavano «Re-Deregulator». Da solo o con altri, aveva presentato almeno quindici progetti di legge volti a dare più diritti ai prestatori di denaro.
Secondo il sito web dello studio, Pilkey era specializzato nel fornire alle istituzioni finanziarie consulenza per «districarsi nel mondo della politica federale». Al momento della sua morte, il suo cliente principale era costituito da una coalizione di dodici banche di media importanza sparse per il Paese, con attività nell’ordine dei settanta miliardi di dollari. I contributi che queste banche avevano offerto all’altra vittima, Vinton, per la sua campagna elettorale, erano oggetto di un’inchiesta giudiziaria.
«Perché mi dice queste cose a proposito di Craig e dello studio?» mi chiese Sid Dammler, che fino a quel momento non mi aveva fatto capire se era già al corrente di tutto o meno.
«Perché, con il dovuto rispetto, devo pensare che un certo numero di persone non sia propriamente dispiaciuto che Craig Pilkey sia morto» risposi.
Dammler assunse un’espressione offesa. «È orribile che lei dica questo.»
«Chi poteva volerlo morto? Le viene in mente qualcuno? So che aveva ricevuto delle minacce.»
«Per l’amor di Dio! Nessuno lo voleva morto!»
«Mi riesce difficile crederlo» replicai. «Lei non ci sta aiutando per niente a trovare il colpevole.»
Dammler si alzò in piedi, paonazzo. «Basta così. Non ho nient’altro da dirle.»
«Si sieda, per favore.»
Aspettai che fosse tornato a sedersi, prima di ricominciare.
«Capisco che non voglia dare adito a più critiche di quante ne siano già state espresse. Siete uno studio di PR, mi rendo conto. Ma io non sono un giornalista del Post: ho bisogno di sapere chi erano i nemici di Pilkey. E non mi dica che non ne aveva...»
Dammler si appoggiò allo schienale, con le mani dietro la testa. Sembrava si aspettasse di venire ammanettato da un momento all’altro.
«Forse possiamo cominciare con alcune delle associazioni di piccoli proprietari» disse infine. «Non vedevano Craig molto di buon occhio.» Sospirò e guardò l’ora. «E poi ci sono le associazioni dei consumatori, alcuni blogger esagitati, i fanatici che gli scrivevano lettere piene di odio. Insomma, c’è da scegliere. Le consiglierei anche di parlare con Ralph Nader.»
Ignorai il sarcasmo. «Ha dei documenti a supporto di ciò che mi ha detto?»
«Nella misura in cui riguardano i nostri clienti, sì. Ma non la farò nemmeno entrare nella stanza in cui si trovano, senza un mandato. Si tratta di informazioni riservate.»
«Immaginavo che avrebbe avuto questa reazione, Sid» dissi, posandogli sotto il naso alcuni fogli. «Questo mandato è per le email e questo per i documenti in formato cartaceo. Vorrei cominciare dall’ufficio di Pilkey. Mi accompagna lei, o vado da solo?»