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Era di nuovo mattina e mi arrivò un’altra telefonata di Sampson. Questa volta non mi ero ancora alzato. «Senti, Sugar, so che hai fatto le ore piccole al Kennedy Center, ma ho pensato che fosse meglio dirtelo: abbiamo appena ritrovato un’altra vittima del killer dei numeri.»
«Tempismo perfetto» replicai, ancora a letto con Bree che dormiva con un braccio sul mio petto.
«Evidentemente nessuno si è preso la briga di leggere le segnalazioni che ho fatto in proposito. Senti, posso occuparmene io, se per questa volta preferisci passare.»
«Dove sei?» chiesi.
«Alla stazione dei pullman dietro Union Station. Dicevo sul serio, però: dalla voce sembri uno che deve smaltire una brutta sbornia, Alex. Perché non te ne stai tranquillo? Fai conto che non ti abbia telefonato.»
«No» dissi. Morivo dalla voglia di dormire ancora un po’, ma non capita spesso di poter arrivare per primi sulla scena di un crimine. «Vengo appena posso.»
Quando mi misi seduto e feci per posare i piedi per terra, Bree mi prese per un braccio.
«Mio Dio, Alex, non ti sembra un po’ prestino?»
«Scusa se ti ho svegliata» le dissi, chinandomi per darle un bacio. «Lo sai che non vedo l’ora di sposarti, vero?»
«Ah, sì? E quando saremo sposati smetterai di alzarti nel cuore della notte per andare a lavorare?»
«No, ma non vedo l’ora di sposarti lo stesso.»
Bree sorrise e, anche nella semioscurità, mi parve bellissima. In vita mia non ho conosciuto nessun’altra donna che riuscisse a essere altrettanto bella di prima mattina. O altrettanto sexy. Dovetti alzarmi in fretta per non cedere alla tentazione di cominciare qualcosa che non avrei avuto il tempo di finire.
«Vuoi che venga con te?» mi domandò un po’ assonnata, puntellandosi su un gomito.
«No, grazie. Se però potessi accompagnare i ragazzi a scuola...»
«Certo. Nient’altro?»
«Prestazioni di carattere sessuale, magari.»
«Mi sembra meglio rimandare a un altro momento» rispose lei. «Sampson ti aspetta. Vai, prima che facciamo qualcosa di cui potremmo non pentirci.»
Pochi minuti dopo uscii. Dovetti rassicurare con un cenno le guardie nel giardino dietro casa, allarmate nel vedermi uscire di corsa così, poche ore dopo essere rientrato sfinito.
«Salve, ragazzi. Regina sta per alzarsi» dissi. «Fra poco sarà pronto il caffè.»
«Da mangiare niente?» chiese uno.
«Figuriamoci se non vi prepara qualcosa!» risposi con una risata.
C’era poco da ridere, però. Non ero certo il solo a lavorare più ore dell’orologio, ma uscire di casa prima ancora che Nana si fosse alzata e avesse messo su il caffè era davvero un po’ «prestino».