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Era quasi mezzanotte, quando l’agente Anjali Patel uscì in E Street e allungò il collo in cerca di un taxi davanti allo Hoover Building.
Appena la vide, Max Siegel girò l’angolo e abbassò il finestrino dalla parte del passeggero.
«Cercava un taxi, signorina?»
Anjali gli offrì una bella vista della sua scollatura, quando si chinò a guardare chi era. «Max? Cosa fai qui a quest’ora?»
«Scusami, per prima» le disse lui. «Sono dovuto andare via all’improvviso. Sono tornato adesso a prendere la macchina. Se vuoi, ti do un passaggio. Così intanto mi aggiorni.»
Anjali diede un’occhiata alla strada e il suo sguardo diceva tutto: non c’erano taxi e il traffico era scarsissimo.
Max Siegel non era molto benvisto, fra i colleghi, che tenevano le distanze. Era quello che lui voleva: gli consentiva di avere la privacy di cui aveva bisogno. All’occorrenza, le cose potevano anche cambiare.
Per esempio, adesso.
«Non ti mangio mica» le disse. «E ti prometto che non parlerò male di Cross.»
«Va bene» rispose lei con un sorrisino. E salì in macchina.
Aveva un profumo agrumato, notò Siegel. O forse era lo shampoo. Buono, comunque. Molto femminile. Lei gli disse il suo indirizzo esatto, nel quartiere di Shaw.
Chiacchierarono un po’ riguardo al caso, per riempire silenzi che altrimenti sarebbero stati imbarazzanti.
Siegel andava veloce e, quando poteva, passava con il giallo ai semafori. Non era più stato con una donna dopo l’agente immobiliare e, se ci pensava, si eccitava.
Quando arrivò all’isolato giusto, diede un ultimo colpo di acceleratore e accostò davanti a un negozio buio appena dopo la villetta di mattoni gialli in cui abitava Anjali Patel.
«Era quella» disse lei, voltandosi indietro. «L’hai appena passata.»