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Conoscevo Sara Wilson da oltre vent’anni. Lei e la mia prima moglie, Maria, erano state compagne di camera ai tempi in cui frequentavano la Georgetown University ed erano rimaste buone amiche fino alla morte di Maria. Adesso io e Sara ci facevamo gli auguri a Natale e ci vedevamo solo di rado. Mi accolse con un abbraccio affettuoso. Ricordava benissimo chi era Sampson, nome e cognome.
Il suo studio, una stanzetta minuscola in uno dei palazzi del campus della Georgetown, denominato in maniera poco originale «Edificio B», era pieno di libri. Al centro c’era una scrivania, disordinata come la mia, e al muro era appesa una grande lavagna bianca piena di formule matematiche scritte con pennarelli di colori diversi.
Sampson si sedette sul davanzale della finestra e io sull’unica sedia libera che c’era.
«Grazie di averci ricevuto» esordii. «So che sei molto presa, essendo periodo di esami.»
«Mi fa piacere darti una mano, Alex. Sempre che io sia in grado.» Si abbassò sul naso gli occhiali senza montatura e guardò il foglio che le porgevo. Vi erano trascritti i numeri e l’equazione incisi addosso alle due vittime. Avevamo portato anche le foto delle rispettive scene del crimine, ma non ci pareva il caso di mostrare a Sara quelle immagini raccapriccianti, a meno che non fosse proprio necessario.
Sara indicò l’equazione che aveva incisa sulla schiena il cadavere ritrovato quella mattina e disse: «Questa è la funzione zeta di Riemann. È matematica teorica. Davvero ha a che fare con gli omicidi su cui state indagando?»
Sampson annuì. «Senza entrare troppo nei dettagli, diciamo che vorremmo sapere per quale motivo questa formula potrebbe diventare un’ossessione per qualcuno.»
«È una cosa che appassiona tanti, me compresa» rispose Sara. «La funzione zeta è al centro dell’ipotesi di Riemann, che è uno dei più grossi problemi irrisolti della matematica moderna. Nel 2000, il Clay Institute ha promesso un milione di dollari al primo che riuscirà a darne la dimostrazione.»
«La dimostrazione di cosa, scusa?» intervenni. «Ricordati che stai parlando a due profani della matematica.»
Sara si raddrizzò sulla sedia, preparandosi a darci una lezione. «In parole povere, si tratta di una descrizione della frequenza e distribuzione dei numeri primi da uno fino all’infinito, ed è per questo che è così difficile dimostrarla. La congettura è stata verificata da uno fino a un miliardo e mezzo, ma non si può fare a meno di chiedersi: cos’è un miliardo e mezzo rispetto all’infinito?»
«Io non ci dormo la notte» disse Sampson, serissimo.
Sara rise. Era ancora come me la ricordavo dai tempi in cui facevamo la colletta per pagare il conto del bar: lo stesso sorriso pronto, gli stessi capelli lunghi sulla schiena.
«E le altre due?» chiesi, indicandole le due serie di numeri che l’assassino aveva inciso sulla fronte delle vittime.
Sara abbassò lo sguardo sul foglio, poi si girò verso il computer e digitò i numeri, a memoria, nella barra di ricerca di Google.
«Sì, eccoli qua. Mi sembrava. Sono numeri primi di Mersenne. Il quarantaduesimo e il quarantatreesimo, per l’esattezza. Due dei numeri primi più grossi scoperti finora.»
Presi appunti mentre parlava, ma non ero sicuro di quello che stavo scrivendo. «Okay, passiamo alla prossima domanda» dissi. «A cosa serve?»
«A cosa serve cosa?»
«Mettiamo che l’ipotesi di Riemann venga dimostrata. E allora? Cosa cambia? Perché dovrebbe interessare a qualcuno?»
Sara rifletté prima di rispondere. «Be’, i motivi sono due. Intanto ci sarebbero sicuramente delle applicazioni pratiche. Nel campo della crittografia, per esempio: la cifratura dei testi e la decodifica dei crittogrammi ne risulterebbero del tutto rivoluzionate. È possibile che la persona a cui state dando la caccia abbia in mente qualcosa del genere.»
«E l’altro motivo?» chiesi.
Sara fece spallucce. «È interessante per il semplice fatto che esiste. È una specie di Everest della matematica, con la differenza che in cima all’Everest sono già arrivati, mentre l’ipotesi di Riemann non è ancora stata dimostrata. Lo stesso Riemann ebbe un esaurimento nervoso, e John Nash, il matematico di A Beautiful Mind, ne era ossessionato.»
Sara si sporse in avanti e, mostrandoci il foglio con i numeri, disse: «Mettiamola così: se state cercando cosa può far diventare pazzo un matematico, siete sulla buona strada. È questo che stai cercando, Alex? Un matematico pazzo?»