21
«Dai, Bronson» dissi, alzandomi. «Andiamo via da qui.»
«Dove mi vuoi portare?» chiese, turbato. «Al tribunale dei minori? Mica ti ho picchiato.»
«No, non ti voglio portare in tribunale» dissi. «Non mi era neanche venuto in mente. Forza, andiamo.»
Guardai l’orologio. Avevamo ancora mezz’ora, prima della fine della seduta. Bronson mi seguì nel corridoio, più per curiosità che per altro. Di solito, quando lo accompagnavo fuori dal mio studio era per scortarlo fino dall’assistente sociale.
Uscimmo e io feci scattare le portiere della mia macchina. Bronson si fermò di botto.
«Sarai mica un maniaco? Mi vuoi portare in camporella?»
«Sali in macchina, Pop-Pop.»
Ubbidì, con un’alzata di spalle. Vidi che accarezzava il sedile in pelle e occhieggiava lo stereo. Ma evitò di fare qualsiasi commento.
«Dove mi porti?» chiese di nuovo, mentre mi immettevo nel traffico. «È un segreto?»
«No, nessun segreto» risposi. «C’è uno Starbucks, qui vicino. Ti volevo offrire un Frappuccino.»
Bronson si voltò verso il finestrino, per nascondere il sorriso. Non era granché, ma doveva aver sentito che ero dalla sua parte.
«Piglio il più grande che c’è» dichiarò.
«Va bene.»