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Quella mattina arrivai al St. Anthony di buon umore: la giornata era iniziata nel migliore dei modi. Quello con Nana non era stato un colloquio facile, ma era stato produttivo: eravamo di nuovo dalla stessa parte. Forse era un segno che le cose andavano bene, dopo tutto.
O forse io ero troppo ottimista.
Vidi nel corridoio l’assistente sociale di Bronson James, Lorraine Solie. Aveva gli occhi rossi, gonfi. Mi spaventai.
«È successo qualcosa?»
Lorraine cominciò a spiegarmi, ma le veniva da piangere. Era alta e magra, era un tipo tosto e l’avevo vista gestire ragazzi molto difficili: se era in quello stato, doveva essere successo qualcosa di molto, ma molto grave.
La feci entrare nel mio studio e ci sedemmo fianco a fianco sul divanetto in finta pelle dove di solito si stravaccava Bronson durante le sedute.
Riprovai: «È morto, Lorraine?»
«No» rispose lei, asciugandosi gli occhi. «Ma gli hanno sparato. È in ospedale con un proiettile nella testa. Non sanno se si risveglierà.»
Rimasi sbalordito. Non avrei dovuto, ma mi stupii lo stesso. Non avevo mai voluto arrendermi di fronte a quello che molti ritenevano inevitabile. E avevo provato a non affezionarmi troppo a quel ragazzino, ma non c’ero riuscito.
«Come è successo?» le chiesi. «Raccontami tutto, per favore.»
Lorraine, fra le lacrime, mi riferì che Bronson aveva tentato di rapinare un negozio di liquori chiamato Cross Country Liquors, a Congress Heights. Il fatto che la bottiglieria si chiamasse così mi colpì, ma non più di tanto. In quel momento, ero troppo preoccupato per Bronson.
Era la prima volta che tentava una rapina a mano armata, a quanto ci risultava. Aveva una pistola, ma anche il proprietario del negozio, a quanto pareva, era armato. Congress Heights è un quartiere che noi della polizia teniamo d’occhio per via dell’elevato tasso di criminalità. Il problema era che gli abitanti si erano stufati di subire e avevano cominciato a reagire. Per strada, a casa e nei negozi.
Bronson aveva sparato per primo, il proprietario della bottiglieria aveva risposto al fuoco e lo aveva colpito alla nuca. Era già tanto che Bronson non fosse morto. Ma era gravissimo.
«Dov’è ricoverato? Voglio andare a trovarlo.»
«È alla Howard University Hospital. Ma non so dove lo piazzeranno quelli di Medicaid. È un gran casino.»
«Dove si era procurato la pistola? Lo sai?»
«Non c’è che l’imbarazzo della scelta» rispose lei con amarezza. «Non aveva chance, povero ragazzo.»
Era vero, sotto molti punti di vista. La cosa più probabile era che si fosse trattato di una sorta di iniziazione per entrare in una gang. Chi l’aveva mandato allo sbaraglio sapeva benissimo quello che faceva. Funzionava così: chi riusciva nell’impresa poteva essere utile alla banda, chi soccombeva sarebbe comunque stato un peso.
Certe volte odiavo Washington. O forse la amavo talmente tanto che non riuscivo a tollerare che si fosse ridotta così.