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Era passata da poco la mezzanotte quando Denny si avvicinò alla Lincoln nera parcheggiata in Vermont Avenue e salì a bordo. L’uomo che si faceva chiamare Zachary lo aspettava. Al volante c’era il suo solito autista-bodyguard, che guardava fisso davanti a sé.
«Il tempo stringe» esordì Denny senza preamboli. «Dobbiamo chiudere la faccenda prima che ci scoppi tra le mani.»
«Siamo d’accordo» rispose Zachary. Come se fosse lui a decidere. Come se a comandare e a tenere i cordoni della borsa non fosse un misterioso pezzo da novanta chiuso nella sua torre d’avorio.
Zachary prese dalla tasca dietro il sedile una cartellina e gliela porse. «Tieni. Questa è l’ultima incombenza» disse.
Incombenza. Quel tipo era veramente impagabile.
Nella cartellina c’erano due dossier, se così si potevano chiamare: qualche foto, poche righe di testo e alcune mappe stampate da Google messe insieme su fogli A4 come se fossero la ricerca di un bambino delle medie. Di sicuro il boss non spendeva i suoi miliardi in materiale informativo di qualità.
I nomi contenuti nei due dossier, però, erano di altissimo livello.
«Bene, bene» disse Denny. «Vedo che il tuo capo vuole chiudere alla grande. Tranquillo, era solo una battuta. Il prezzo resta lo stesso.»
Zachary si aggiustò sul naso i pretenziosi occhiali dalla montatura di tartaruga e disse: «Concentrati sul materiale e non fare lo spiritoso».
Sarebbe stato bello dargli un ceffone, una volta. Per vedere se cambiava faccia, non per altro.
Ma non era il momento giusto per fare una cosa del genere. Denny tenne la bocca chiusa e per un paio di minuti studiò la documentazione. Poi ripose la cartellina nella tasca dietro il sedile e si mise comodo.
Il resto era routine, ormai. Zachary allungò un braccio per prendere la busta di tela con la zip che Mister Simpatia, davanti, gli porgeva, e la posò sul bracciolo. Denny la prese e sentì subito che era più leggera del solito.
«Cosa cazzo vuol dire?» fece, lasciando ricadere la busta.
«È un terzo» rispose Zachary «Il resto alla fine. Questa volta facciamo in maniera un po’ diversa.»
«Non se ne parla nemmeno!» esclamò. L’autista si girò di colpo e gli infilò sotto il naso la canna di una calibro 45. Denny sentì addirittura l’odore della polvere da sparo: quell’arma era stata usata di recente.
«Stammi bene a sentire» disse Zachary, mellifluo. «Ti daremo tutto quello che ti spetta. L’unica differenza sono i termini di pagamento.»
«Cazzate!» protestò Denny. «Non potete prendermi per il culo in questo modo.»
«Taci e ascolta» ribatté Zachary. «L’incompetenza di cui hai dato prova nel New Jersey non è stata apprezzata, Steven. Adesso che le autorità sanno chi sei, è normale che agiamo con prudenza. Allora, vogliamo concludere questa cosa senza fare tante storie, o no?»
Non era una vera domanda e Denny non rispose. Allungò semplicemente la mano per riprendere la busta di tela. Un gesto più che eloquente. L’autista gli allontanò dalla faccia la calibro 45, ma restò voltato verso di lui.
«Hai visto l’auto parcheggiata dietro di noi?» chiese Zachary sottovoce, come se fosse il seguito di un’amichevole conversazione.
Denny l’aveva vista eccome, perché il suo radar era sempre in funzione: era una vecchia station wagon Subaru azzurra, targata Virginia.
«E allora?» disse.
«Devi andare via dalla città. Qui siamo troppo esposti. Prendi Mitch e portalo in un posto tranquillo. Nel West Virginia, o dove ti sembra meglio.»
«Così, di punto in bianco? E che cosa gli racconto?» obiettò Denny. «Fa già fin troppe domande.»
«Sono sicuro che troverai il modo di convincerlo. Prendi anche questo.» Zachary gli porse un Nokia color argento, presumibilmente criptato. «Tienilo spento, ma controllalo ogni sei ore. E tieniti pronto ad agire quando te lo diremo.»
«Solo per curiosità, quando parli al plurale, a chi ti riferisci?» disse Denny. «Lo sai per chi lavori, o no?»
Zachary si sporse per aprirgli la portiera sul lato marciapiede. Non avevano altro da dirsi.
«Questo è il tuo lavoro più grosso, Denny» disse. «Non sprecare l’occasione. E non commettere altri errori.»