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Nelson Tambour era stato ucciso poco prima del tramonto vicino al Kennedy Center for the Performing Arts, nella terra di nessuno tra la Rock Creek Parkway e il Potomac. La strada era già stata chiusa, quando arrivai sul posto direttamente da K Street. Parcheggiai il più vicino possibile e mi incamminai a piedi.

Tambour lavorava alla NSID, la divisione Narcotici e Indagini Speciali. Non lo conoscevo di persona, ma questo non rendeva meno grave la faccenda. Il dipartimento aveva perso un altro dei suoi uomini, e in una maniera terribile. L’ispettore Tambour era stato trovato con il cranio spappolato da un proiettile di grosso calibro che gli aveva letteralmente trapassato la testa.

Ormai era buio, ma i riflettori di emergenza illuminavano la scena come uno stadio di football. Per garantire un minimo di privacy erano state montate due tende, una adibita a centro di comando e l’altra per la raccolta delle prove: gli elicotteri delle TV stavano già sorvolando la zona.

Erano intervenute anche le motovedette della capitaneria, che tenevano a distanza le imbarcazioni da diporto nel fiume. E c’erano funzionari di alto grado dappertutto.

Vidi il capo della polizia, Perkins, che confabulava con quelli della Narcotici e dei Servizi Investigativi, e con una donna che non conoscevo. Mi fece cenno di raggiungerlo.

«Alex, ti presento Penny Ziegler della IAD» disse. Il nodo che avevo allo stomaco si strinse ulteriormente. Come mai è intervenuta anche la divisione Affari Interni?

«C’è qualcosa che non so?» chiesi.

«Sì» rispose Penny Ziegler, con la faccia preoccupata quanto noi. L’omicidio di un poliziotto tende a rendere tutti paranoici. «L’ispettore Tambour era irreperibile da un mese. Stavamo per prendere provvedimenti contro di lui.»

«Per cosa?»

Penny Ziegler guardò Perkins e attese il suo cenno di assenso prima di continuare. «Da due anni Tambour dirigeva un’operazione sotto copertura: si era infiltrato nei quartieri popolari di Anacostia. Si teneva la metà di tutto quello che sequestravano, prevalentemente PCP, coca ed ecstasy, e la rivendeva attraverso una rete di piccoli spacciatori nel Maryland e in Virginia.»

«È possibile che fosse qui per una consegna» aggiunse Perkins scuotendo la testa. «Gli hanno trovato un chilo di coca nel bagagliaio.»

Volpi nel pollaio, pensai.

Tambour non era molto diverso dalle altre vittime dei cecchini, alla fin fine.

Anche se per l’opinione pubblica era un perfetto sconosciuto: a differenza degli altri, non era mai apparso sulle prime pagine dei giornali. O perlomeno non ancora. Non mi sembrava da poco.

Quanto era importante quella differenza? Non lo sapevo, ma non riuscivo a scuotermi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa che non quadrava.

«Dobbiamo imporre il silenzio stampa su tutto ciò che riguarda questa vicenda» consigliai a Perkins. «È evidente che l’assassino ha qualche contatto all’interno del dipartimento.»

«Sono d’accordo» rispose e, mentre mi voltavo per andare, mi posò una mano su un braccio. Con l’aria preoccupata, se non addirittura disperata, disse: «Alex? Temo un’escalation».

Se quell’omicidio non era opera dei due cecchini, l’escalation era già cominciata.

Il ritorno del killer
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