13
Come molti suoi colleghi delle forze dell’ordine, l’agente FBI Steven Malinowski era divorziato. Viveva da solo, quando non lo andavano a trovare le due figlie – e cioè a weekend alternati e un mese d’estate – in una casa di Hyattsville, Maryland, abbastanza bella dall’esterno e patetica all’interno.
Per questo motivo non era mai molto contento di tornare a casa, e quella sera fermò la Range Rover nel vialetto che erano già le undici e mezzo passate. Si era fatto un paio di birre, e anche un paio di shot, ma non era ubriaco. Barcollava solo lievemente.
«Ehi, Malinowski.»
L’agente trasalì e d’istinto si portò la mano alla pistola sotto la giacca.
«Non sparare, Steve. Sono io.» Kyle Craig spuntò da dietro il garage e si lasciò guardare alla luce del lampione. «Max Siegel.»
Malinowski esclamò, stupito: «Siegel? Cosa caspita...?» Tolse la mano dalla fondina. «Mi hai fatto prendere un colpo. Cosa ci fai qui? Che ore sono?»
«Andiamo a parlare dentro, per favore?» chiese Kyle Craig. Erano tre anni che Malinowski e Siegel non si parlavano: la voce doveva essere somigliante, ma poteva non essere perfetta. «Faccio il giro e mi apri da dietro, okay?»
Malinowski guardò verso la strada. «Sì, okay.» Prima di andare ad aprire la porta di servizio per far entrare Siegel, spense tutte le luci sul davanti della casa e tirò le tende. Lasciò accesa solo la luce della cappa sui fornelli.
Poi mise la pistola in un cassetto e prese due bottiglie dal frigo. Ne offrì una a Max.
«Dimmi. Cosa è successo, Siegel? Cosa sei venuto a fare qui a quest’ora?»
Kyle non accettò la birra: non voleva lasciare più impronte dello stretto necessario.
«L’operazione è andata a ramengo» disse. «Non so come, ma mi hanno scoperto. Non avevo scelta: sono dovuto per forza tornare.»
«Non hai una bella cera, devo dire. Quei lividi intorno agli occhi...»
«Avresti dovuto vedermi una settimana fa. Gli scagnozzi di Arturo Buenez mi hanno conciato davvero male.» Si toccò la sacca verde militare che aveva sulla schiena, che conteneva lo storditore elettrico e il relativo serbatoio di soluzione salina, avvolti in una spessa coperta. «Sono riuscito a portarmi via solo questa.»
«Perché non hai dato il segnale?» chiese Malinowski. Era proprio quello che Kyle Craig non era riuscito a scoprire: come avrebbe dovuto mettersi in comunicazione Siegel con il suo contatto in caso di emergenza.
«È già andata bene che sia riuscito a scappare» rispose. «Mi sono nascosto in Florida per un po’, finché non sono riuscito a tornare qui. Fort Myers, Vero Beach, Jacksonville.»
Sarà stato perché aveva bevuto, ma Malinowski sembrava non essersi accorto che Kyle non aveva risposto alla sua domanda. Non poteva: non sapeva cosa rispondere.
«Con chi devo parlare?» chiese Kyle.
L’agente scosse la testa. «Con nessuno.»
«Non con la DEA? Con qualcuno a Washington?»
«Non c’è nessuno, Siegel. Eri solo.» Alzò gli occhi di scatto. «Com’è che non lo sai?»
«Non mi stressare, amico. Sono frastornato: non lo vedi?» Si avvicinò a Malinowski, che era appoggiato alla cucina. «Guardami, sul serio. Che cosa vedi?»
Malinowski sorrise, comprensivo. «Hai bisogno di riposarti un po’, Max. Meno male che sei riuscito ad arrivare qua.»
Non si era reso conto di niente. Kyle era troppo contento per piantarla lì.
«Ho visto Kyle Craig, sai?»
«Che cosa? Hai visto Kyle Craig?»
Kyle allargò le braccia e sorrise. «Proprio così. In carne e ossa.»
«Non capisco. Cosa c’entra con...»
Sul viso di Malinowski si susseguirono una serie di espressioni impagabili. Kyle le osservò e, quando l’agente stava per arrivare alla soluzione dell’indovinello, estrasse la Beretta e gliela puntò sotto il mento.
«La chirurgia estetica fa miracoli, di questi tempi.»
La bottiglia semivuota di Malinowski cadde per terra. «Ma cosa dici? Non... È impossibile!»
«Invece è possibile. Sono sicuro al 99,99 per cento» replicò Kyle. «A meno che non mi stia immaginando tutto quanto. Sentiti onorato, Steve. Sei il primo e l’ultimo a sapere che faccia ho adesso. Non sei onorato?» Malinowski non si mosse e Kyle gli spinse ulteriormente la Beretta contro il mento. «Allora?»
L’agente annuì.
«Dillo.»
«Sono... onorato.»
«Bene. Adesso ti spiego cosa succede. Andiamo nel bagno e tu ti stendi in quella vasca lurida che non lavi mai.» Si toccò di nuovo la sacca. «Apro questa e parliamo un po’. Mi devi dire due o tre cosette a proposito di Max Siegel.»