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Il venerdì dopo l’omicidio di Dlouhy era una di quelle giornate primaverili in cui la brezza ha già il sapore dell’estate, benché ci voglia ancora la giacca.
Kyle si abbottonò il blazer e svoltò in Mississippi Avenue, verso nord. Era perfettamente mimetizzato fra la folla. Parrucca, trucco e lenti a contatto, anche se rudimentali, facevano egregiamente il loro lavoro. Dopo gli interventi di chirurgia estetica cui si era sottoposto, il resto era uno scherzo, un male necessario.
Non avrebbe mai scelto di passare un pomeriggio così bello in un quartiere così schifoso, fosse stato per lui. Era uno di quei luoghi che facevano sentire in colpa i liberal bianchi americani. Mai abbastanza da fare qualcosa per rimediare al disagio sociale, però.
Ma non erano problemi suoi. In quel momento aveva ben altro per la testa.
Camminava lentamente, perché voleva arrivare davanti al Southeast Community Center appena prima delle quattro e mezzo. Aveva sentito dire che quel giorno avrebbero distribuito ai giovani del quartiere dei biglietti per la partita dei Wizards in cambio di un piccolo lavaggio del cervello. Quando arrivò intravide alcuni brutti ceffi nella marea di ragazzini che usciva dalla palazzina di mattoni rossi.
Ne notò uno in particolare. Il piccolo delinquente oltrepassò le scale davanti alle porte di vetro e scavalcò il muretto; poi si fermò a scartare una merendina, prima di incamminarsi.
Kyle lo seguì, abbastanza vicino perché il ragazzo si accorgesse di lui ma non troppo: voleva parlargli un po’ più in là, al riparo da orecchie indiscrete.
Avevano fatto un isolato e mezzo, quando il ragazzo si fermò e si voltò di scatto. Stava ancora masticando. Parlò con la bocca piena.
«Cosa cazzo vuoi? Mi segui, stronzo?»
Era molto giovane, ma nei suoi occhi non c’era neanche un briciolo di paura. Aveva la tipica aria strafottente dei piccoli delinquenti che imperversavano in quelle strade miserabili.
Si alzò l’orlo della lunga canottiera bianca per fargli vedere il manico fasciato di pelle nera di un coltello che doveva arrivargli a metà coscia. «Devi dirmi qualcosa, coglione?»
Kyle gli fece un sorriso di approvazione. «Sei Bronson, vero? O preferisci che ti chiami Pop-Pop?»
«Chi cazzo sei tu?» Era un tipetto tosto, ma era anche un imbecille. Tirò su il coltello di un paio di centimetri, per mostrargli la lama.
Kyle si posizionò in maniera che non lo potesse vedere nessuno dalla strada e sbottonò il blazer, sotto cui nascondeva una Beretta. La estrasse dalla fondina tenendola per la canna, con l’impugnatura dalla parte di Bronson.
Il ragazzino sgranò gli occhi. Non per la paura, ma per l’interesse.
«Avrei un lavoretto da proporti, ragazzino. Sempre che tu sia all’altezza. Ti farebbero comodo cinquecento dollari?»