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Stavo il più possibile a casa e cercavo di fare da lì tutto il lavoro d’ufficio. Tra Kyle Craig, i cecchini e il killer dei numeri, il mio studio in mansarda era pieno di documenti riservati, tra cui molte foto scabrose delle scene del crimine, e quindi avevo proibito ai ragazzi di metterci piede. Per questo Jannie quel pomeriggio mi telefonò. «Dottor Cross, buongiorno. Parla Janelle, dal confino nelle terre lontane dei piani bassi.»
Mia figlia ha sempre avuto uno spiccato senso dell’umorismo. Cercai di stare al gioco. «Salve a te, o esule. Come te la passi giù negli inferi?»
«Hai visite, papà» rispose. Lo scherzo era finito. «C’è un certo signor Siegel che chiede di te. È un agente dell’FBI.»
Lì per lì pensai di aver capito male. Che cosa era venuto a fare Max Siegel a casa mia? L’ultimo incontro-scontro che avevamo avuto era stato piuttosto sgradevole.
«Papà?»
«Scendo subito.»
Quando arrivai al primo piano, Jannie mi stava aspettando. Scese con me nell’ingresso. Le dissi di restare in casa e uscii, richiudendomi la porta alle spalle.
Siegel era davanti al portone con un look molto Brooklyn, in jeans e giubbotto nero da motociclista. Aveva un casco nero in una mano e un sacchetto di carta marrone nell’altra.
Tra lui e la porta di casa si era piazzato uno degli addetti alla sicurezza, David Brandabur.
«Tutto a posto, David» dissi. «Lo conosco.»
Aspettammo che Brandabur fosse tornato alla sua macchina prima di parlare.
«Come mai sei qui, Max?»
Siegel si avvicinò e mi porse il sacchetto. Gli lessi subito in faccia che era cambiato qualcosa.
«Non sapevo che cosa ti piace» disse.
Nel sacchetto c’era una bottiglia di Johnnie Walker Black Label. Un’offerta di pace, probabilmente. Ma con Max Siegel non sapevo mai che cosa pensare.
Si strinse nelle spalle. «Lo so, lo so, mi trovi un po’ schizofrenico, vero?»
«Un po’» dissi.
«Mi rendo conto che è difficile lavorare con me, Alex. Prendo le cose troppo sul serio. Non dovrei, ma sono fatto così. Perché il mio lavoro mi appassiona. E questo da una parte mi rende un bravo professionista, dall’altra una grandiosa testa di cazzo, a volte.»
Fui tentato di ribattere «A volte?» ma mi trattenni e ascoltai cos’aveva da dire.
«Comunque sia» continuò. «Sono passato per dirti che so che sei molto preso in questi giorni e... Insomma, se posso fare qualcosa per te, non hai che da chiedere. Posso darti una mano in sede, dare il cambio a qualcuno nella sorveglianza qui a casa... Qualsiasi cosa.»
Guardò la mia faccia perplessa e dopo un po’ sorrise. «Dico sul serio. Non c’è trucco, non c’è inganno.»
Volevo credergli. Sarebbe stato tutto più facile, se ci fossi riuscito: invece l’istinto mi spingeva a non fidarmi di lui. Anche adesso che si era presentato con un regalo e cercava di fare pace.
La porta alle mie spalle si aprì. Era Bree. «Tutto okay?» chiese.
Siegel ridacchiò. «Vedo che Alex le ha parlato di me.»
«No: ho un’informatrice adolescente seduta in fondo alle scale» rispose Bree. Sempre diplomatica, gli porse la mano. «Piacere, Bree Stone.»
«La detective Stone!» esclamò Siegel. «Piacere. Sono Max Siegel, l’incubo di Alex all’FBI. Abbiamo avuto qualche piccola divergenza di opinione.»
«Mi è giunta voce» ribatté Bree e tutti e due scoppiarono a ridere. La scena era un po’ surreale. Siegel stava rivelando un lato cordiale e altruista della sua personalità che mi era del tutto sconosciuto. Sembrava spuntato dal nulla.
«Max è passato a portarmi questa» dissi, mostrando a Bree la bottiglia di whisky.
«Già.» Siegel scese un gradino. «Missione compiuta, quindi. È stato un piacere, Bree.»
«Perché non beviamo qualcosa tutti insieme?» propose lei, prendendomi per mano. «A quest’ora del pomeriggio possiamo permetterci un attimo di relax, no?»
L’intento di Bree era trasparente. Capimmo tutti che cosa stava cercando di fare. Siegel mi guardò e si strinse nelle spalle: l’ultima parola toccava a me. Francamente, avrei preferito lasciar perdere, ma mi pareva brutto dire di no.
«Accomodati» dissi a Siegel, facendo strada. «Mi casa es tu casa, Max.»
Entrammo. Jannie si era ritirata dietro il tavolo della cucina, dove Nana e Ali erano impegnati in una partita a carte. Ultimamente ad Ali era presa la fissazione di giocare a Quartetto, ma smisero e ci guardarono tutti.
«Max, ti presento Regina, Jannie e Ali. L’agente Max Siegel.»
Ali sgranò gli occhi nel notare il casco da motociclista e Siegel glielo porse. «Provatelo, se vuoi, giovanotto.»
«Se non dà fastidio a lui...» dissi ad Ali.
Tirai fuori i bicchieri, il ghiaccio e due bottiglie di acqua vitaminizzata per i ragazzi. Nana andò ad aprire il mobiletto dove tenevamo le patatine e i cracker, ma con discrezione le feci di no con la testa.
«Bella casa» commentò Siegel guardando verso la finestra che dava sul giardino sul retro. «Ottima posizione, vicino al centro.»
«Grazie.» Gli porsi un bicchiere con due dita di whisky, poi ne versai due anche per me e per Bree e allungai con l’acqua quello di Nana.
«A un nuovo inizio» disse Bree sollevando il proprio bicchiere.
«All’estate che sta per arrivare!» propose Ali.
Siegel gli sorrise e gli mise una mano sulla spalla.
«E a questa bella famigliola» disse. «Sono proprio contento di conoscervi.»