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Anjali Patel mi aggiornò sugli sviluppi delle indagini relative alle email arrivate a True Press. Non c’era molto di nuovo, in realtà.
«Sulla base di intestazione, indirizzo IP e delle informazioni che ho ricavato dal registro di sistema del server, a Georgetown, l’account di Jayson Wexler era aperto e attivo, quando sono stati spediti i messaggi» mi disse.
«Questo non significa che li abbia inviati lui» osservai.
«No, infatti. Solo che sono stati generati da quell’account o vi sono transitati.»
«Transitati?»
«Chi li ha inviati potrebbe aver usato un reindirizzatore anonimo da remoto, anche se non vedo perché. Un portatile rubato, che non ricompare mai più, assolve perfettamente lo scopo. Ti conviene cercare testimoni del furto, piuttosto.»
«Ci abbiamo provato. Abbiamo setacciato tutta la zona intorno al punto in cui è stato rubato» replicai. «Secondo quanto Wexler ha dichiarato, ovviamente. Le telecamere di sorveglianza più vicine sono quelle del dipartimento dei Trasporti in K Street. Nel parco non ce ne sono e nessuno ha visto niente. Il che mi pare un po’ strano.»
Anjali Patel si appoggiò allo schienale, giocherellando con la penna. «Vuoi che continui le ricerche, quindi? Perché ho notizie ancora più scoraggianti.»
Mi passai una mano sulla bocca e sul mento: era un mio vecchio tic. «Quanto mi fa piacere sentirtelo dire...»
«Teoricamente, è roba di Siegel: ambasciator non porta pena» disse. Mi piaceva lavorare con lei. Manteneva l’ironia anche nelle situazioni più stressanti. E la sua era un’ironia intelligente e cupa.
«Dimmi tutto: sono in grado di sopportare qualsiasi cosa.»
«Il soprannome Patriota, usato in una delle email. Da quando True Press ha divulgato la notizia, pare che abbia attecchito in maniera spaventosa. Fra gli estremisti di tutto l’arco costituzionale, dai no global più radicali all’estrema destra. Temiamo che qualcuno segua l’esempio dei cecchini.»
Fece una ricerca sul suo portatile. Meno di un minuto dopo avevamo di fronte pagine e pagine di risultati: siti, blog, vlog, chat, mainstream, fringe... Tutti, in un modo o nell’altro, sostenevano che dietro agli assassinii c’era effettivamente amor di patria.
Non era la prima volta che succedeva. Kyle Craig, per esempio, aveva legioni di fan, o «discepoli», come amava definirli lui. Ma Anjali Patel aveva ragione: c’era la possibilità concreta che si formasse un movimento spontaneo di cittadini convinti che la società americana fosse allo sfacelo e che per fermare il degrado fosse indispensabile ricorrere alla violenza.
«Il modo migliore per agitare le masse è mascherare la propria ideologia sovversiva dietro una facciata di patriottismo e aspettare che qualcuno abbocchi» commentai. «Terrificante.»