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«Sono sua madre, perdio! Non ho fatto niente di male! Non sono uno stalker!»
Christine era sulle difensive. Ci accapigliammo nel corridoio, mentre Ali era in segreteria.
«Abbiamo delle regole e le dobbiamo rispettare, Christine. Non puoi piombare qui e fare tutto quello che ti...»
«Ma cosa dici?» mi interruppe lei. «Brianna Stone, una perfetta sconosciuta per me, può venire a prendere mio figlio tutte le volte che vuole e io – sua madre! – non sono autorizzata? Eppure mezza scuola si ricorda ancora di me.»
«Non mi stai a sentire» dissi. Non sapevo se faceva finta di non capire o se credeva davvero di avere ragione. «Dove avevi intenzione di portarlo, per curiosità?»
«Non mi guardare così!» esclamò lei. «Ti avrei telefonato.»
«Perché non l’hai fatto? Né ieri né adesso?»
«Volevo chiamarti quando eravamo insieme. Volevo andare a prendere un gelato con lui, te l’avrei riportato per cena. Adesso è confuso, triste, scombussolato. Non era proprio il caso di fare tutte ’ste scene, Alex.»
Era come ascoltare un pianoforte scordato. Sembrava tutto sbagliato, persino il modo in cui era vestita: completo di lino bianco molto aderente, tacchi a spillo, trucco da star. Non che stesse male, tutt’altro. Ma chi voleva impressionare?
Trassi un respiro profondo e riprovai.
«Non sei andata al convegno?»
Christine distolse lo sguardo e lo spostò verso la bacheca. Era piena di disegni di trenini, automobili, aeroplani e barche, e aveva la scritta MEZZI DI TRASPORTO in cima.
«Hai visto che quello è di Ali?» mi chiese Christine, indicando una barca a vela. Certo che l’avevo visto!
«Christine, per favore, guardami. Sei venuta a Washington per un convegno?»
Lei incrociò le braccia e sbatté le palpebre due o tre volte, prima di guardarmi negli occhi.
«E anche se non ci fosse nessun convegno? Non può una madre sentire la mancanza del proprio figlio? Pensavo che gli avrebbe fatto piacere vedere insieme la sua mamma e il suo papà, per una volta. Dio mio, Alex, come sei diventato!»
Sembrava avere una risposta a tutto, fuorché alle mie domande. Era sincera quando diceva di sentire la mancanza di Ali e di volergli bene, lo sapevo. Ma non bastava.
«Senti, facciamo così» proposi. «Andiamo a prendere un gelato tutti e tre, poi ci salutiamo e fino a luglio te ne stai per conto tuo, come al solito. Se ti ripresenti, torniamo dal mediatore familiare. Davvero, Christine: non intendo transigere.»
Con mia sorpresa, Christine sorrise. «Ceniamo anche. Noi tre soltanto. Poi prendo il mio aereo e me ne torno a Seattle. Giuro. Va bene?»
«Non posso» risposi.
Lei strinse le labbra e mi provocò: «Non puoi o non vuoi?»
Avrei voluto rispondere che non potevo e non volevo, ma la porta della segreteria in quel momento si aprì e ci ritrovammo davanti Ali, con la faccina triste e sconsolata.
«Andiamo, adesso?»
Christine lo prese in braccio, come la sera prima, e sorrise, cambiando completamente espressione rispetto a un attimo prima.
«Sì, tesoro. Andiamo a prendere un bel gelato tutti e tre insieme. Cosa ne dici?»
«Posso avere due palline?» chiese lui.
Non potei fare a meno di sorridere. «Ne approfitti subito, eh? E vada per due palline.»
Uscimmo, tenendolo per mano tutti e due, fra mille sorrisi. Dentro di me, però, ero preoccupato: Christine non si era impegnata a rispettare le condizioni che le avevo posto.