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L’indomani mattina pioveva. Avevamo pensato di tenere la conferenza stampa all’aperto, ma fummo costretti a spostarla nella sala del Daly Building che di solito veniva usata per i confronti all’americana. Si presentarono un centinaio di giornalisti, o forse anche di più, e predisponemmo un collegamento audio dal vivo anche nell’atrio, per permettere di seguire la conferenza anche a quelli che non avevano trovato posto a sedere e a eventuali ritardatari.
Max e io eravamo seduti al tavolo con il capo della polizia Perkins e Jim Heekin del Directorate. Nella sala riecheggiavano i clic delle macchine fotografiche, puntate soprattutto su Max Siegel e me. Formavamo davvero una strana coppia.
Era uno dei miei momenti di celebrità. Ci ero già passato e sapevo che per un paio di settimane mi avrebbero chiesto un sacco di interviste e magari proposto persino di scrivere un libro. Quella sera avrei sicuramente trovato i giornalisti ad aspettarmi sotto casa.
Ad aprire la conferenza fu il sindaco, che impiegò almeno dieci minuti per spiegare perché, alla luce di quel che era successo, dovevamo votare per lui alle prossime elezioni. Poi Perkins riepilogò i fatti salienti dell’inchiesta. Quando ebbe finito il suo discorso, i giornalisti cominciarono a fare domande.
«Ispettore Cross» esordì un cronista della Fox. «Ci può raccontare come si sono svolti esattamente i fatti ieri notte? Un resoconto dettagliato, se possibile. Solo lei può dirci come sono andate le cose.»
Questa era la parte più spendibile di ogni inchiesta, quella che faceva vendere gli spazi pubblicitari e aumentare la tiratura dei giornali. Diedi una risposta abbastanza concisa per non annoiare nessuno, ma anche abbastanza dettagliata per non dover passare l’ora successiva a rispondere a domande idiote tipo «Che effetto fa trovarsi faccia a faccia con uno spietato assassino?»
«Possiamo dire quindi che l’agente Siegel le ha salvato la vita?» chiese qualcuno.
Siegel si avvicinò al microfono. «Esatto. Quest’uomo morirà solo quando lo deciderò io» disse e tutti risero di gusto della battuta.
«Siamo seri» aggiunse poi. «Anche se qualche piccola difficoltà all’inizio indubbiamente c’è stata, questa inchiesta è un ottimo esempio di come le autorità federali e locali sanno collaborare di fronte a una minaccia importante. Sono fiero di ciò che l’ispettore Cross e io siamo riusciti a fare e spero che anche le autorità cittadine siano fiere di noi.»
Era evidente che anche il lato buono di Siegel aveva un ego smisurato. Ma non volevo essere pedante, o meschino. Se Max voleva farsi bello con i giornalisti, non sarei stato io a impedirglielo.
Lasciai che rispondesse lui alle domande finché, inevitabilmente, qualcuno alzò la mano e chiese: «E il movente? A questo punto siete in grado di affermare con certezza che Talley e Hennessey agivano in proprio? Che cosa volevano ottenere?»
«Stiamo valutando diverse possibilità» risposi prontamente. «Quello che posso dirvi è che i due cosiddetti Patrioti sono deceduti. Il ritorno alla normalità nella capitale dovrebbe essere assicurato. Al momento non possiamo dirvi altro. Le indagini proseguiranno per chiarire gli aspetti ancora oscuri della vicenda.»
Siegel mi guardò, ma tenne la bocca chiusa, e proseguimmo la nostra sceneggiata.
La verità, che non intendevamo rivelare alla stampa, era che avevamo buone ragioni di credere che Talley e Hennessey lavorassero per conto terzi. Ma non era detto che riuscissimo a scoprire chi fosse il mandante degli omicidi. Se avessi dovuto fare un pronostico, avrei detto che il caso andava considerato chiuso e che non avremmo scoperto altro.
Succede. Purtroppo nel nostro lavoro certe volte prendiamo solo i pesci piccoli e non arriviamo a quelli grossi. Ed è proprio su questo che contano coloro che stanno in alto. Quelli che lavorano per loro – i killer prezzolati, i piccoli delinquenti – corrono la maggior parte dei rischi e spesso finiscono anche per pagare di più.
In tutti gli ambienti ci sono «volpi nel pollaio».