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Ero al lavoro al Daly Building, quando giunse la terribile notizia, e questa volta arrivai sul posto pochi minuti dopo il fatto. Mi sforzai di ignorare il caos che regnava davanti al teatro e di non pensare alle vittime – almeno per il momento – per concentrarmi sulla cosa più urgente, ovvero scoprire da dove erano stati esplosi i colpi.
Speravo che i cecchini questa volta avessero commesso un errore.
Un sergente della Metro Police sul marciapiede mi spiegò che la prima a essere colpita era stata Cornelia Summers. Stava andando verso l’ingresso del teatro e si trovava alla sinistra di George Ponti. Avevano ucciso due giudici della corte suprema... Era inaudito, incredibile!
Guardai a sinistra, lungo F Street. Una possibilità era che avessero sparato dal Jackson Graham Building ma io, nei panni del cecchino, mi sarei appostato sul tetto del National Building Museum. Era a un paio di isolati di distanza e aveva un tetto piatto con un parapetto dietro cui ci si poteva nascondere.
«Mi servono altri tre agenti» dissi al sergente. «Voglio andare a controllare in quel palazzo là, il National Building Museum.»
Pochi minuti dopo, eravamo davanti al museo e bussavamo al portone. Venne ad aprirci un guardiano notturno dalla faccia molto preoccupata. Il museo era di competenza del Federal Protective Service, ma mi avevano avvertito che ci sarebbe voluta almeno mezz’ora prima che riuscissero a mandare una squadra.
«Dobbiamo salire sul tetto» dissi al guardiano, che aveva sulla giacca un cartellino con il nome, David Hale. «Qual è il modo più veloce per arrivarci?»
Ordinai a uno degli agenti di restare lì e chiedere rinforzi via radio, in modo da poter circondare completamente l’edificio, e con gli altri due seguii Hale nel salone centrale del museo. Era enorme, con colonne corinzie che arrivavano fino all’altissimo soffitto. Era lassù in cima che dovevamo salire.
Hale ci accompagnò a un’uscita di emergenza in un angolo in fondo. «Salite da qui» disse.
Ci avviammo su per le scale di corsa, in formazione sciolta, con torce e armi in pugno.
Arrivati in cima, ci trovammo davanti una porta antincendio.
Normalmente sarebbe dovuta essere allarmata, ma il cassetto di metallo dell’impianto di allarme era per terra, vuoto, e il dispositivo dondolava appeso a un filo.
Il cuore, che già mi batteva forte per la corsa, accelerò ancora: eravamo nel posto giusto.
Aprii la porta e uscii sul tetto, che era molto grande. Dall’altra parte di G Street si vedeva la cima dell’Accountability Office. Pioveva forte, ma si sentivano lo stesso le sirene e le grida che si alzavano dalla Harman.
Feci cenno a uno dei funzionari di andare a destra e all’altro di seguirmi verso il lato di F Street, da dove proveniva la confusione.
Andammo verso l’angolo sud-ovest del tetto, dove una fila di lucernari rialzati ci ostruiva la visuale.
Accanto al più lontano intravidi un’ombra che poteva essere una borsa di attrezzi posata per terra, o forse un sacco della spazzatura pieno. La indicai all’agente che era con me. Non gli avevo nemmeno chiesto come si chiamava.
Proseguimmo con le torce spente, tenendoci bassi per prudenza.
Quando fummo abbastanza vicini, vidi che c’era anche un uomo. Era in ginocchio, affacciato al parapetto dalla parte del teatro, e stava completamente immobile.
Sollevai la Glock. «Polizia! Fermo là!» Mirai basso, alle gambe, ma non ce n’era bisogno: appena l’altro agente gli puntò addosso il fascio di luce della torcia, vedemmo che aveva un foro scuro nella nuca, lavato dalla pioggia. Il corpo era rimasto appoggiato al parapetto che correva lungo tutto il perimetro del palazzo e che gli aveva impedito di cadere di sotto.
Mi bastò un’occhiata alla faccia per riconoscere Mitch Talley. Mi sentii male. Di colpo, mi tremavano le ginocchia: era davvero troppo. Mitch Talley era morto? E come?
«Gesù.» L’agente si chinò a guardare meglio la ferita. «Cos’è? Una nove millimetri?»
«Chiama in centrale» gli dissi. «Avverti che Steven Hennessey, ossia Denny Humboldt, dev’essere qui intorno. Non può essere andato molto lontano. Io chiamo il Command Information Center. Bisogna setacciare immediatamente il quartiere. Non c’è un attimo da perdere.»
Se l’istinto non mi ingannava, Hennessey aveva appena sciolto il sodalizio con l’altro Patriota, chissà per quale motivo.
Io, al suo posto, sarei già stato fuori da Washington, sarei fuggito senza voltarmi indietro.
Ma non ero al posto di Hennessey.