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Caro Figlio di Puttana,

SPERO CHE TU sia soddisfatto di te stesso. Forse un giorno perderai il TUO cazzo di lavoro e la TUA casa e capirai COSA STAI FACENDO a dei poveri innocenti nel mondo REALE.

Molte lettere, anche se non tutte, erano così. Quando la gente è veramente arrabbiata, ricorre al turpiloquio.

E gli autori delle lettere erano arrabbiati, delusi, aggressivi, sconfortati, squilibrati. Di tutto un po’, insomma. Il mandato scadeva alle ventidue, ma avrei potuto passare tutta la notte a leggere lettere piene di odio nell’ufficio di Pilkey.

Dopo un po’, mi stancai delle continue incursioni di impiegati curiosi e chiusi la porta per continuare a leggere indisturbato.

Le email arrivavano da tutto il Paese, ma in particolar modo dal Kansas, dove Pilkey era nato. A scrivere erano famiglie distrutte, gente che aveva perso la casa, i risparmi di una vita... Insomma, persone che in un modo o nell’altro avevano patito gli effetti della crisi e davano la colpa a K Street e Washington.

Gli interventi sui blog di cui lo studio D-M aveva preso nota contenevano attacchi politici, più che personali. Il gruppo più radicale era forse il Center for Public Accountability. Pubblicavano regolarmente articoli, forse tutti di un unico esaltato che scriveva da una cantina, in una colonna che si chiamava «Combatti il Potere». Il più recente era intitolato «Rubin Hood: rubano ai poveri per dare ai ricchi».

Nascondendosi dietro i principi del libero mercato, boys & girls dei circoli finanziari più esclusivi di Washington, alias le lobby delle banche, in combutta con i politici che hanno fatto eleggere, si riempiono le tasche a spese del contribuente. Hanno messo in ginocchio l’economia di questo Paese, ma fanno vita da nababbi. E il conto chi lo paga? Noi, sempre noi. Con le gabelle sempre più alte che ci impongono. Sono dei ladroni, che si intascano impunemente i soldi delle nostre tasse.

Clicca qui, e avrai indirizzo e numero di telefono di alcuni dei peggiori di loro. Chiamali all’ora di cena, digli cosa pensi di quello che fanno. O, meglio ancora, valli a trovare a casa quando non ci sono e portagli via i loro sudati guadagni. Magari così lo capiscono.

La cosa che più mi colpì fu che Pilkey conservava una nutrita rassegna stampa sullo scandalo in cui era coinvolto. In una cartellina senza nome sulla sua scrivania era contenuto un articolo apparso di recente sul New York Times.

Pilkey e Vinton sono entrambi oggetto dell’ennesima inchiesta che si protrarrà per lungo tempo e alla fine si risolverà senza condanne e senza condannati, ma soprattutto senza difendere le vittime, ovvero la gente comune che fa fatica ad arrivare alla fine del mese.

Non mi sorprendeva che i nemici di Pilkey fossero così numerosi. Le piste da seguire erano infinite: quello che avevo letto doveva essere solo la punta dell’iceberg. Marcai tutte le email che contenevano minacce, ma erano talmente tante che la lista dei sospetti sarebbe stata interminabile.

Una cosa avevo chiara: ci voleva più gente per svolgere le indagini.

Il ritorno del killer
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