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Arrivai allo Hoover Building, dove avevo un appuntamento alle cinque e mezzo. Erano le sei e un quarto. Firmai il registro dei visitatori e presi l’ascensore.
Il Centro analisi e condivisione informazioni, in cui lavorava l’agente Patel, sarebbe potuto essere la sede di qualsiasi azienda americana, con il suo dedalo di divisori marrone e rosa e i controsoffitti bassi e punteggiati di faretti. L’unica differenza erano i computer, che erano almeno tre per scrivania. I macchinari più fantascientifici – server e stazioni di monitoraggio – erano altrove, dietro porte chiuse.
Quando bussai sulla parete del suo divisorio, Anjali Patel fece un salto sulla sedia.
«Gesù, Alex! Mi hai fatto venire un colpo!»
«Scusami» dissi. «E scusami anche per il ritardo. L’agente Siegel è ancora in ufficio?» Non mi faceva per niente piacere concludere la giornata con lui, ma ero lì per collaborare.
«Si è stufato di aspettare» disse. «Dice di raggiungerlo nella sala riunioni del SIOC.»
Fece il numero del suo interno e gli lasciò un messaggio, dicendogli che stavamo arrivando. Quando però entrammo nella sala, Siegel non c’era. Che sorpresa! Aspettammo qualche minuto e poi cominciammo senza di lui. Per me, non era un problema.