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Girammo in tondo per tre giorni, senza trovare nessuna traccia né di Talley, né di Hennessey, né di Wajda.
Poi successe la cosa peggiore che poteva succedere.
Il venerdì mattina, per la terza volta in un mese, Sampson mi telefonò all’alba per dirmi che c’era stato un omicidio. Un altro tossico ammazzato di botte, con un’altra serie di numeri inspiegabili incisi sulla fronte e sulla schiena.
Qualcosa di diverso però questa volta c’era, ed era qualcosa di determinante.
«Il carrello di Stanislaw era vicino al cadavere» mi disse Sampson. «O, perlomeno, io sono sicuro che sia il suo, anche se è difficile distinguerli uno dall’altro» Aveva la voce roca. Da quando Wajda ci era sfuggito, doveva aver dormito ben poco. «La vittima avrà avuto non più di vent’anni, poveraccio.»
«Come stai, John?» chiesi. «Non hai una bella voce.»
«Mi sembra naturale, no?»
«Non è colpa tua, John. Lo sai, vero?»
Non se la sentiva ancora di rispondere a quella domanda e disse soltanto: «Non c’è bisogno che tu venga fin qui».
«Figurati se non vengo» ribattei. «Arrivo subito.»