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La protagonista della mia vita, in quel periodo, era Bree, Brianna Stone, che i colleghi della Metro Police chiamavano «la Roccia». Sì, Bree era una roccia: solida, profonda, bellissima. Ormai era entrata nella mia vita, tanto che non riuscivo a immaginare di poter vivere senza di lei. Erano anni che non mi sentivo così bene, così a posto con me stesso, così equilibrato.
Il fatto che la situazione alla Omicidi fosse relativamente tranquilla, com’è ovvio, aiutava. Come tutti i poliziotti, mi aspettavo che da un momento all’altro ci cadesse in testa la proverbiale tegola, ma nel frattempo Bree e io ci godemmo un’inaudita pausa pranzo di due ore insieme, quel giovedì. In genere, se ci vedevamo durante il giorno era perché lavoravamo allo stesso caso.
Andammo al Ben’s Chili Bowl e ci sedemmo vicino al muro con le foto dei personaggi famosi. Non è propriamente un ristorante romantico, ma a Washington è un’istituzione. Vale la pena andarci solo per gli hot dog.
«Sai come ci chiamano i colleghi?» mi chiese Bree, dopo aver bevuto un sorso di frappè al caffè. «Breelex.»
«Breelex? Come Brangelina? Brad Pitt e Angelina Jolie? Che orrore!»
Bree scoppiò a ridere. «Lo so. Ma, cosa vuoi, i poliziotti hanno poca fantasia.»
«Be’...» Le posai una mano sulla coscia, sotto il tavolo. «Non tutti.»
«Certo, non tutti.»
Ma tornammo a fare i bravi, e non solo perché consumare nei bagni del Ben’s Chili Bowl sarebbe stato impensabile: quel giorno avevamo un appuntamento importante.
Dopo mangiato, ci incamminammo mano nella mano lungo U Street, diretti alla gioielleria di Sharita Williams. Conoscevo Sharita dai tempi del liceo e sapevo che era bravissima a riadattare gioielli antichi.
Entrammo, facendo tintinnare i campanelli sopra la porta.
«Ecco i piccioncini!» Sharita ci accolse con un sorriso.
«Sì, in effetti lo siamo» risposi. «È una sensazione bellissima.»
«Trovami un uomo come si deve, Alex, e seguo volentieri il vostro esempio.»
Sapeva perché eravamo lì e andò subito a prendere una scatolina di velluto nero. «È venuto uno splendore» ci annunciò. «Mi piace tantissimo.»
Era un anello di mia nonna, Nana Mama, che ha mani piccolissime. Avevo chiesto a Sharita di adattarlo, in maniera che andasse bene a Bree. Era Art déco, di platino, con tre brillanti: uno per ciascuno dei miei figli. Sarò un inguaribile romantico, ma per me quell’anello simboleggiava il solenne impegno che stavamo prendendo io e Bree. Pacchetto completo, insomma. Mi sentivo l’uomo più fortunato del mondo.
«Come va?» chiese Sharita a Bree, quando se lo fu infilato all’anulare. Non riuscivano a staccare gli occhi da quell’anello. Io non riuscivo a staccare gli occhi da Bree.
«Benissimo» rispose lei, stringendo la mia mano. «È l’anello più bello che io abbia mai visto.»