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Stanislaw Wajda si allontanò dai due poliziotti con il cuore che batteva all’impazzata. Non era finita lì, ne era sicuro. Anzi, sicurissimo.
Infatti, quando arrivò all’angolo e azzardò un’occhiatina alle spalle, i due erano ancora lì che lo guardavano. Molto probabilmente lo avrebbero seguito.
Aveva sbagliato a scappare via di corsa: aveva peggiorato la situazione. Ma ormai non poteva fare altro che continuare a camminare. Sì. Avrebbe riflettuto in seguito sul da farsi. Sì.
Il carrello della spesa era ancora al suo posto, in una nicchia sul retro del Lindholm, vicino a una porta di servizio da cui era vietato passare. Una porta di cui pochissime persone conoscevano l’esistenza.
La nicchia era grande abbastanza per metterci il carrello e Stanislaw lo nascondeva lì quando non poteva portarselo dietro. Lo tirò fuori e proseguì lungo la strada lentamente, con circospezione, pronto a mettersi di nuovo a correre se necessario.
Gli faceva piacere muoversi un po’: camminando si rilassava e lo sferragliare del carrello sul marciapiede era una sorta di rumore bianco che copriva tutti gli altri suoni, creando una bolla di silenzio in mezzo alla città, e gli dava modo di ragionare meglio e di pensare al suo lavoro e alle prossime mosse da compiere.
Doveva cercare di ricordarsi a che punto era rimasto l’ultima volta.
Al quarantaquattresimo numero di Mersenne, giusto? Sì. Esatto. Il quarantaquattresimo.
A poco a poco gli tornò in mente, come tante luci che riemergevano dalle ombre, finché non riuscì a vederlo chiaro.
A vederlo e a pronunciarlo.
Le cifre gli uscirono dalla bocca spontaneamente, con impeto, ma a bassa voce, poco più di un mormorio. In modo che nessuno potesse sentirlo, ma quanto bastava perché il numero tornasse a essere reale.
«Due alla potenza di 32.582.657» disse.
Sì. Era proprio lui. Il quarantaquattresimo numero di Mersenne. Sì. Sì. Sì.
Accelerò il passo e proseguì lungo la strada senza più guardarsi indietro.