19
Maledetto Kyle!
Era riuscito nel suo intento, si era di nuovo introdotto nella mia vita. Sapeva dov’ero, cosa facevo... Non potevo non reagire, in qualche modo.
Al nostro arrivo, trovammo davanti casa una volante. Sul retro, vicino al garage, era di guardia un altro agente. C’era anche Sampson. Non so chi l’avesse chiamato, ma mi fece piacere vederlo lì.
«Tranquillo, Sugar: è tutto sotto controllo» mi disse. Era in cucina con Nana, che gli aveva offerto un panino al prosciutto e una ciotola di patatine.
«Non è finita qui» replicai. Mi sforzavo di parlare sottovoce, per non svegliare i bambini di sopra. «Dobbiamo trasferirci altrove.»
«Non se ne parla» decretò Nana, gelida.
«Nana...»
«No, Alex. Stavolta non se ne parla davvero. Con i tuoi figli regolati come credi, ma io, quando ti avevo detto che sarebbe stata l’ultima volta che me ne andavo di qui, parlavo sul serio. E non intendo ricredermi.»
Non mi diede neppure il tempo di rispondere, perché riprese subito il suo discorso.
«Peraltro, se questo Kyle Craig è in gamba quanto dici, a cosa serve trasferire i bambini in capo al mondo? Li devi proteggere qui dove stanno.» Le tremava la voce, ma il dito che mi puntò contro era fermissimo. «Difendi la tua casa, Alex. Difendila come si deve. Sei o non sei un bravo poliziotto?»
Batté la mano sul tavolo con forza, due volte. Poi si appoggiò allo schienale: toccava a me.
Presi fiato e contai fino a dieci, poi chiesi a Bree di allertare subito il Sistema informativo regionale e l’NCIC dell’FBI. Per fare questo, ci servivano delle autorizzazioni. Sampson propose di occuparsene lui.
Io chiamai la sede FBI di Denver. Il caso era di loro competenza, visto che Kyle era evaso dal carcere nel Colorado.
L’agente Tremblay mi disse che non c’erano novità e mi promise di diramare un comunicato a tutte le sedi distaccate della East Coast. Era una priorità anche per loro, e non solo per il danno di immagine che Kyle Craig aveva causato al Bureau. Ero certo che Jim Heekin del Directorate mi avrebbe contattato a breve.
Poi feci un’altra telefonata e svegliai il mio vecchio amico Rakeem Powell, con cui a volte tiravo di boxe.
Era stato in polizia quindici anni, di cui otto alla 103 Squad. Poi, nel giro di sei mesi, si era sposato ed era finito all’ospedale dopo essere stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco mentre era in servizio. E aveva deciso di dare le dimissioni.
Nessuno l’avrebbe mai detto: né che avrebbe lasciato il dipartimento, né che si sarebbe sposato. Adesso dirigeva una società di servizi di sicurezza a Silver Spring e io stavo per diventare suo cliente.
L’indomani alle sette l’ingranaggio era già partito: i bambini sarebbero stati accompagnati a scuola da me e Bree, con Sampson a farci da scorta. Gli uomini di Rakeem avrebbero presidiato la casa nelle ore serali e notturne e in quelle diurne su richiesta. Il primo giorno, inoltre, avrebbero ispezionato la casa alla ricerca dei punti più deboli, in maniera da renderla più sicura già dal pomeriggio, quando i bambini sarebbero tornati da scuola.
Nana provò a protestare per la presenza di agenti nel giardino, ma per una volta riuscii a metterla a tacere. Mi aveva chiesto lei di proteggere i miei figli e difendere la casa, no? Non ci rivolgevamo quasi la parola, dopo il battibecco. Dispiaceva a tutti e due, ma per il momento non riuscivamo a fare diversamente.
Eravamo sotto assedio. Kyle Craig aveva fatto irruzione ancora una volta nella nostra vita.