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Assaporando l’ultimo boccone della brioche presa alla Magnolia Bakery, Carl Apt accartocciò l’involucro e, senza rallentare il passo, lo lanciò con un tiro a uncino verso il cestino dei rifiuti all’angolo della strada. Il cartoccio rimbalzò sul palo del lampione a una trentina di centimetri dal cestino, in cui finì, perfettamente al centro.
Tiro di sponda! Sì! Grande! pensò, sferrando un pugno in aria.
Si tolse lo zucchero dalla punta del naso e proseguì verso sud lungo Christopher Street, nel Greenwich Village. Ora indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca stirata di fresco, bretelle in seta rossa di Hermès e una cravatta di seta rossa, anch’essa di Hermès, con il nodo allentato. Aveva comprato quel completo da Barneys dopo aver ucciso Wendy, per mimetizzarsi nel quartiere, e funzionava a meraviglia.
A parte la pistola nascosta nella valigetta del laptop che portava a tracolla, avrebbe potuto essere uno dei tanti imbecilli di Wall Street che arrancava verso casa dopo una pesante giornata di lavoro passata a distruggere l’economia mondiale.
Nonostante gli allerta e tutti i video che la polizia aveva di lui, Carl sapeva di non correre rischi.
Sapeva quanto fosse difficile catturare un fuggiasco che poteva disporre di risorse economiche. Con il suo bancomat e i soldi di Lawrence sarebbe potuto restare in circolazione per sempre, se avesse voluto. Se non avesse fatto qualcosa di così stupido da farsi arrestare, non lo avrebbero mai preso.
E lui tutto era tranne che stupido.
Era diretto verso uno dei suoi rifugi sicuri, la casa in Turtle Bay, dove si sarebbe preparato per il gran finale di quella notte. Non riusciva a credere di aver quasi finito. Era rimasto un ultimo nome. Un ultimo bersaglio. Un ultimo colpo. Ed era anche qualcosa di anomalo. Non vedeva l’ora perché era la sfida più difficile e temeraria di tutte.
Vide una filiale di HSBC all’angolo davanti a sé e si ricordò di essere a corto di contante. Quanto gli sarebbe servito? pensò mentre attraversava la strada. Duecento? ’Fanculo, trecento. Dopo tutto, erano solo soldi.
«Ehi, fratello. Ce l’hai un dollaro?» chiese qualcuno mentre lui faceva scorrere la carta nel lettore che apriva la bussola del bancomat.
Alzò gli occhi e scosse la testa sorridendo.
Gli era già capitato di vedere vagabondi bianchi con capelli rasta, ma mai un asiatico basso e grasso. L’orientale piccoletto aveva persino una chitarra con la bandiera giamaicana sulla tracolla.
New York era come un viaggio, non sapevi mai cosa ti sarebbe capitato. Gli sarebbe mancata.
«Forse, fratello. Vediamo» rispose Apt.
BENVENUTI IN HSBC, lo salutò lo schermo del bancomat all’interno. PER FAVORE, INSERIRE LA CARTA.
«Il piacere è mio» mormorò mentre seguiva le istruzioni.
Il suo conto metteva a disposizione mille dollari al giorno per le spese. Dal momento che non aveva dovuto utilizzarli tutti e mille ogni giorno, ora aveva a disposizione più di novemila dollari.
Quella notte, una volta finito, ne avrebbe avuti molti di più.
Otto milioni in più, per l’esattezza.
Era venuto il momento di riscuotere. Quelli erano i soldi per la sua pensione, il vero motivo per cui si stava dando tanto da fare per uccidere tutti quelli che avevano offeso il suo ricchissimo e amatissimo amico Lawrence.
Represse il sorriso che gli era affiorato sulle labbra. Doveva smettere di pensarci. Dopotutto, non aveva ancora finito. Era prematuro pensarci. Non era il caso di montarsi la testa.
Digitò il PIN della sua carta: 32604. Era la data del giorno in cui aveva ucciso il suo capo della Delta Force. Il giorno in cui aveva mostrato a quel duro del colonnello Henry Greer chi ce l’avesse più duro. Greer aveva cercato di farlo trasferire, ma aveva finito con l’essere lui quello trasferito, no? Nel mondo dei più.
Apt era tutto preso a rivivere il suo personale Inno alla gioia per aver piazzato nella nuca di quel gran rompicoglioni due proiettili con la sua .45, quando sullo schermo comparve una scritta che non aveva mai visto prima: CODICE 171. CONTO INESISTENTE.
Fissò lo schermo rizzando la testa come un gallo infuriato.
Come? pensò. Questa è buffa. Buffa un cazzo. Neanche un po’.
Schiacciò il tasto di annullamento dell’operazione, cercando di recuperare la carta per riprovare. Ma non successe nulla. Riprovò, questa volta pestando con forza sul tasto. Stesso risultato. Niente. Merda. Perché non gli restituiva la carta? Digitò nuovamente il PIN. Niente.
Pestò sullo schermo, in preda al panico. Cosa diavolo voleva dire? Cosa cazzo stava succedendo?
Dopo un attimo la scritta sullo schermo cambiò e ricomparve: PER FAVORE, INSERIRE LA CARTA.
No! pensò, prendendosi la testa tra le mani. Com’era potuto accadere? Senza la carta e senza i soldi era nei casini. Era fottuto. C’era qualcosa che non andava. Non andava per niente.
«Allora, fratello, me lo dai quel dollaro?» disse il musicista di strada asiatico parandoglisi davanti quando uscì dalla bussola.
Si sentì un rumore secco mentre Apt piroettava su se stesso. Abbracciò l’uomo da dietro, il coltello già in mano, e lo affondò come gli avevano insegnato.
La chitarra fece un suono cupo quando il ragazzo la lasciò cadere sul marciapiede per portarsi le mani alla gola. Apt, già oltre l’angolo della strada, scese con calma le scale della metropolitana, superò il tornello e si affrettò lungo il marciapiede affollato.
Un attimo dopo arrivò un treno e lui salì senza curarsi di dove fosse diretto. La sua mente era uno spazio vuoto che pulsava di una rabbia cocente.