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Quel pomeriggio, tornato in città, mi parcheggiai alla scrivania e non feci altro che passare al setaccio la corrispondenza di Berkowitz.
Era incredibile. C’erano curiosi, gente che chiedeva autografi, persone religiose col cuore tenero e il cervello rammollito che volevano salvare l’anima del serial killer. Un’anziana gattara inglese gli aveva mandato la foto di una famiglia di gatti insieme a un assegno di trecento dollari perché si comprasse dei gasper, qualunque cosa fossero. La prossima volta che ne avessi avuto l’occasione avrei dovuto chiederlo al geco della Geico.
Avevo appena finito di controllare tutto il materiale relativo agli anni duemila e stavo frugando nei cassetti della scrivania in cerca di un’aspirina, quando ricevetti una chiamata dal mio capo che stava partecipando a una riunione degli Artificieri nel Bronx.
«Abbiamo appena ricevuto una segnalazione per un fatto strano accaduto a Brooklyn» disse Miriam. «Una bambina è stata sottratta al padre in pieno giorno. Se ne sta occupando la squadra Grandi Crimini di Brooklyn, ma ho bisogno che tu vada a vedere cosa diavolo sta succedendo. Da quel poco che so, è tutto molto strano, il che significa la norma per il nostro uomo. Ma non può essere quel bastardo, vero? Cosa c’entra il rapimento di una bambina con il Bombarolo Pazzo o il Figlio di Sam?»
L’indirizzo era di una zona prestigiosa di Brooklyn, non lontano dal museo d’arte e da Prospect Park. Volanti della polizia bloccavano le due estremità della strada fiancheggiata da case in arenaria. Parcheggiai in doppia fila e mi diressi verso una casa ristrutturata con cura. Nell’ingresso luminoso mi venne incontro un tenente donna del Settantottesimo Distretto con una faccia da funerale.
«Come siamo messi, capo?» dissi.
«Abbiamo diramato un allarme sulla rete AMBER e inviato una foto di Angela a tutti i media, ma finora niente» disse, abbassando la radio per ridurre le interferenze. «La bambina scomparsa ha quattro anni. Quattro. Quando è arrivata la prima volante, il padre era totalmente fuori di testa e si limitava a fissare un punto indefinito con lo sguardo vitreo. Adesso è in una camera sul retro con la madre della bambina, un medico e un prete. Cinque minuti fa è entrato anche un detective della squadra di Brooklyn.»
Passarono altri dieci interminabili minuti prima che Hank Schaller, un detective anziano della Brooklyn North che talvolta insegnava all’Accademia, uscisse dalla stanza.
«Hank, cos’è successo?» gli chiesi. Lui mi passò davanti urtandomi, come se non esistessi. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi grigi. Non prometteva bene.
Lo seguii fuori, giù per i gradini. Si mise a camminare lungo per la Sesta Avenue a passo così veloce che fui costretto a mettermi a correre per stargli dietro. Sembrava molto turbato e arrabbiato.
Svoltato l’angolo, entrò nel primo locale che trovò, un ristorante dall’aria costosa. Passò accanto alla bionda magrissima addetta ad accogliere i clienti e puntò dritto verso il bancone del bar, che era deserto. Quando, finalmente, lo raggiunsi, stava battendo una bottiglia di birra vuota sul bancone di quarzo nero.
«Voglio una vodka! Ehi, tu, ho detto che voglio una vodka, cazzo! Adesso!» urlò.
«Cosa ti prende, stronzo?» disse un tizio corpulento con la barba, uscendo dalla cucina.
Hank stava per scagliarsi contro il tizio dietro il bancone quando gli arrivai davanti. Mostrai il distintivo all’uomo e posai una banconota da venti sul banco.
«Lei gli dia da bere, okay?»
«Quell’animale» sussurrò Schaller, crollando su uno sgabello. Fissò la bottiglia vuota che aveva in mano quasi si chiedesse come aveva fatto a finire lì. «Dobbiamo prenderlo, quell’animale.»
«Cos’è successo, Hank?»
«Non riesco neppure a dirlo» rispose, mordendosi il labbro. «Quel poveraccio del padre è disoccupato da un anno, giusto? Questo tizio ne ha approfittato, gli ha detto che lo avrebbe assunto. E oggi si è presentato all’improvviso e ha invitato lui e la bambina al compleanno di sua figlia. Cavuto pensa: Un nuovo lavoro, un nuovo capo, non posso non andarci, giusto?»
Quel culo piatto del cuoco finalmente gli versò tre dita di Grey Goose, che Schaller mandò giù tutto d’un fiato.
«Il padre ha bisogno di qualche minuto per prepararsi» continuò Schaller, alzando un dito verso il cuoco, «e così il tizio dice che andrà avanti lui con la bambina perché è in ritardo. Cavuto li può raggiungere, chiamarli per vedere dove sono. L’ha lasciata andare, Mike. Gli ha consegnato la sua bambina. Si sono allontanati mano nella mano. Solo che quando Schaller è uscito dalla doccia e ha chiamato il numero, ha scoperto che era inesistente. Allora è corso allo zoo, ma lì non c’era nessuna festa.» Lungo il naso del detective scese una lacrima. «Immagina, Mike. Non c’era nessuno!»
«Calmati, amico» dissi.
«Quattro anni, Mike. Questa bambina era una bellezza. Come farà quest’uomo a vivere con un simile peso, Mike? Dimmelo, come farà?»
«Ora devi calmarti, Hank.»
«Calmarmi?» ribatté il poliziotto, asciugandosi la lacrima dalla guancia con un dito. «Lo so già come finirà questa storia, e lo sai anche tu. Io mi calmerò quando questo mostro diventerà cibo per i vermi. Se lo prendo non arriverà a vedere l’interno di una macchina della polizia, e tanto meno di un tribunale.»
Rimasi a guardarlo mentre usciva come una furia dal ristorante.
Restai ancora qualche secondo nel bar deserto ad assimilare quanto avevo appena sentito. Hank aveva ragione. Il colpevole sembrava davvero un mostro uscito da una melma primordiale, la personificazione del male. La reazione istintiva di Hank era comprensibile. Cosa fai quando vedi un insetto repellente che ti cammina su un braccio? Lo mandi via con una manata, lo schiacci sotto il piede e continui a pestarlo finché non ne resta più nulla. Fai tutto il possibile per cancellarlo dalla faccia della terra.
«È tutto, agente?» chiese il cuoco, sarcastico.
«No» risposi avvicinando uno sgabello e componendo il numero di telefono del mio capo. «Voglio una vodka anch’io, e subito.»