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Dopo un esame preliminare, il medico legale mi prese da parte accanto a una pila di Buzz Lightyear e mi disse che sembrava un’overdose. Distolsi lo sguardo quando un’assistente del medico legale si inginocchiò in lacrime accanto ad Angela, accingendosi a spostarla. Il padre, che grazie al cielo era stato sedato, era fuori sulla Cinquantottesima, a bordo dell’ambulanza. Avrei tanto voluto esserci anch’io.
«Cosa ne dici?» chiesi a Emily mentre andavamo verso l’uscita passando davanti a file e file di giocattoli. «C’è qualche corrispondenza con il caso Fish?»
«A dire il vero no» rispose Emily. «I resti della vittima furono trovati in una casa abbandonata nella parte nord dello Stato. L’istinto mi dice che il nostro uomo ha fatto un passo falso, probabilmente ha sbagliato dose nel tentativo di tenerla calma.»
«Così sembrerebbe» dissi, mentre uscivamo in strada. Speravo che un po’ d’aria mi facesse bene, ma la folla e il caldo mi fecero stare ancora peggio.
«Suppongo che, dopotutto, il nostro amico non sia poi così impeccabile» osservai.
Ci allontanammo dalla scena del crimine un’ora dopo. Imboccai la Quinta Avenue in direzione sud e girai a destra sulla Trentaquattresima, all’altezza dell’Empire State Building.
«È strano» disse Emily, schiacciando la bottiglietta di plastica vuota mentre osservava l’identikit del nostro uomo. «È sicuramente dotato di una cultura superiore, ma anche di un addestramento militare, a giudicare dalla sua abilità nel confezionare bombe. Una combinazione interessante.»
«Non dimenticare che è anche un appassionato dei crimini commessi nella città di New York.»
«A proposito» disse Emily, voltandosi per prendere un fascicolo dalla borsa. «Probabilmente ci avrete già pensato, ma prima di salire sul treno ho stampato una cartina su cui sono indicati tutti i luoghi che sono riuscita a trovare su internet in cui sono avvenuti i crimini del Bombarolo Pazzo e del Figlio di Sam. Ce ne sono decine a Manhattan e nel Bronx... ovunque, tranne che a Staten Island. So che è un po’ azzardato come tentativo, ma alcune pattuglie posizionate strategicamente in queste zone potrebbero dare qualche frutto.»
Sorrisi nel vedere la cartina di Google disseminata di indicatori di posizione. Emily era proprio ciò che ci voleva per quel caso: occhi nuovi, nuova linfa, un po’ di entusiasmo.
Tornati in ufficio, fummo placcati all’uscita dell’ascensore da un giovane detective di colore, un tipo tracagnotto vestito da capo a piedi come Gordon Gekko, comprese le bretelle di seta moiré. Si chiamava Terry Brown ed era il pivello della squadra, appena arrivato dalla Narcotici.
«Mike, finalmente» disse Terry facendoci segno di seguirlo. «Ho appena finito di visionare il nastro della sicurezza interna del negozio di giocattoli. Credo di aver trovato qualcosa. Devi venire a dare un’occhiata.»
Seguimmo Terry lungo il corridoio fino a una delle minuscole sale interrogatori in cui era stato relegato in attesa che quelli della manutenzione gli procurassero una scrivania. Ci infilammo in un varco tra due pareti di scatole da archivio impilate e ci stringemmo intorno a un tavolino pieghevole su cui era posato il laptop di Terry.
Premette un tasto e fece avanzare velocemente le immagini di persone che gironzolavano tra gli scaffali pieni di giocattoli e poi, quando comparve un uomo con un passeggino, fermò l’immagine.
«Eccolo. Adesso state a vedere.»
L’uomo si avvicinò, spingendo lo stesso passeggino Maclaren rosa su cui era stata trovata Angela. Mi lasciai sfuggire un sospiro. Portava un berrettino degli Yankees e un paio di Aviator, ma era lui, l’uomo dell’identikit! Per la prima volta mi trovavo faccia a faccia con l’uomo che negli ultimi giorni aveva ucciso otto persone e ne aveva terrorizzato altre otto milioni.
Lo sconosciuto spinse il passeggino in un angolo, prese un cellulare dalla tasca e scattò una foto. Ma quello che più mi fece incazzare fu che a quel punto si fermò, alzò gli occhi verso la telecamera di sicurezza e sorrise prima di allontanarsi dal negozio.
«Quel figlio di puttana» dissi. «Sapeva che c’era la telecamera. Ci sta prendendo in giro.»
Rivedemmo più volte il filmato, cercando l’immagine migliore, e scoprimmo che era proprio quella in cui lui sorrideva alla telecamera.
«Sono stato bravo?» chiese Terry Brown, speranzoso.
«Continua così, Terry» dissi, provando per la prima volta in tutta la giornata un po’ di ottimismo, «e non solo ti farò avere una scrivania. Potrei darti anche una sedia.»