62
«Ehi, con l’Happy Meal ti hanno dato anche un giocattolo?» chiesi, rubando una patatina fritta dal sacchetto di McDonald’s posato sul cruscotto dell’auto che Emily aveva ricevuto in dotazione dall’FBI.
«Non lo so. Il sacchetto era già lì quando ho ritirato l’auto» rispose Emily prendendosi gioco di me mentre sfogliava i miei appunti.
Eravamo parcheggiati davanti al Boat Basin, la marina in fondo alla Settantanovesima Strada. Si vedevano le barche a vela riflesse sullo specchio scuro dell’acqua, la massa nera di una petroliera ancorata e le luci romantiche del George Washington Bridge sulla destra, che pareva un lampadario acceso. Era un bel parcheggio isolato proprio sull’Hudson, un luogo notoriamente frequentato dalle coppiette, e io sapevo che lo avremmo avuto tutto per noi, dato che non avevamo ancora catturato l’emulatore del Figlio di Sam.
Come al solito Emily era uno schianto, nel suo stile professionista sexy con la pistola. Sembrava fresca come una rosa nonostante avesse corso tutto il giorno. Era la persona perfetta con cui intrattenersi in macchina in un posto come quello.
Sputai la patatina fredda in un tovagliolo e guardai la mia affascinante collega dell’FBI fingendomi offeso.
«Torniamo al lavoro. Prima domanda: hai parlato con la vittima accoltellata nel Bronx, giusto?» chiese Emily.
«Se non rispondo mi sottoponi a una seduta di waterboarding?» risposi.
«Se fossi in te starei attento.»
«D’accordo. Aida Morales. Sì, le ho parlato. Ha avuto una complicazione legata a una delle ferite, per cui è ancora ricoverata al Jacobi Medical Center.»
«Le hai mostrato l’identikit e la foto del sospettato?»
Annuii.
«Ha passato molto tempo con lui, quindi anche se al momento dell’aggressione lui indossava una parrucca riccia come il Figlio di Sam, è quasi sicura che si tratti dello stesso uomo.»
Emily guardò le pagine aggrottando la fronte.
«C’è qualcosa che ti ha colpito come possibile collegamento tra le famiglie delle vittime?» mi chiese.
«Non molto» risposi, guardando il fiume. «Per lo meno in apparenza. Abbiamo otto vittime, giusto? Aida Morales, le quattro persone rimaste uccise nell’attentato alla Grand Central, il duplice omicidio del professore e della sua amante nel Queens, e la povera Angela Cavuto. Quattro femmine, quattro maschi, di cui cinque appartenenti alla classe operaia, tre a una classe sociale un po’ più elevata. Non potremmo avere un gruppo più eterogeneo.»
«Ma, come abbiamo appurato» obiettò Emily, «solo due delle persone morte all’edicola – il proprietario e la ragazza che vi lavorava – possono essere considerate bersagli. L’agente che è rimasto ucciso non si trovava al suo solito posto di lavoro, e il senzatetto non frequentava abitualmente la zona.»
«Okay. D’accordo» dissi. «Sei vittime, dunque, ma comunque senza alcun collegamento evidente tra loro. Forse stiamo indagando nella direzione sbagliata.»
«Non abbiamo approfondito completamente le dinamiche familiari, Mike. Dobbiamo continuare a scavare.»
Emily mi guardò, poi riprese a scorrere i miei appunti. Per rendermi utile, cominciai a sfogliare i suoi. Gli argomenti degli interrogatori erano molteplici: status socioeconomico, fratelli, sorelle, genitori, ordine di nascita, status dei genitori, carriera scolastica e lavorativa.
Quando le parole cominciarono a non avere più un senso, chiusi il fascicolo con un gesto secco.
«Non ce la faccio. Non riesco a pensare, qui. Metti in moto. Conosco il posto giusto.»