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Il resto della giornata fu infernale e interminabile.
Con l’intento di trovare qualche collegamento tra le vittime, in base alla nostra nuova teoria, Emily e io ci dividemmo e cercammo di interrogare quanti più familiari possibile. I colloqui furono estenuanti. Tutti i congiunti con cui parlai erano confusi e arrabbiati, addolorati per il lutto ancora troppo recente. Laura Habersham, la madre della ragazza uccisa nel Queens in auto insieme al suo amante, inveì contro di me prima di accasciarsi in ginocchio, in lacrime, sulla soglia di casa.
Come potevo biasimarla? La aiutai a rialzarsi, le posi le mie domande e passai a interrogare il povero diavolo successivo sulla mia lista.
Quando terminai, avevo passato dodici ore a guidare in lungo e in largo per i quartieri più periferici di New York, intasati di traffico, ed ero riuscito a rintracciare soltanto quattro delle otto famiglie delle vittime. Anche così, però, erano una gran quantità di dati confusi, un’infinità di potenziali collegamenti. Quello era in sintesi il lavoro del poliziotto: troppe informazioni o troppo poche.
Verso le dieci di sera, sudato, stanco ma non domo, svoltai l’angolo tra la Novantunesima Strada e la West End Avenue. Inciampai contro il marciapiede sull’altro lato della strada e riuscii appena in tempo ad afferrare il sacchetto con la cena cinese da asporto e le sei Dos Equis che avevo posato sopra la scatola di cartone con dentro i documenti relativi al caso. Quando il cellulare nella mia tasca si mise a squillare, invece di fermarmi per rispondere, tenni duro e proseguii verso il mio palazzo un isolato e mezzo più avanti. I poliziotti stanchi ma determinati quando sono in movimento tendono a restare in movimento.
Poiché non sarei mai riuscito ad arrivare vivo a Breezy Point quella sera, dovevo far buon viso a cattiva sorte e dormire da solo nel mio appartamento.
Quando arrivai, il portone del palazzo era chiuso. Davvero irritante, considerato quanto pagavo per il servizio di portineria ventiquattr’ore su ventiquattro. Invece di posare la scatola, mi voltai e picchiai sul vetro con la nuca.
Rischiai di cadere a terra quando il portone venne aperto all’improvviso dopo quella che mi parve un’eternità.
«Signor Bennett, mi dispiace» si affrettò a dire Bert, il portiere del turno di notte, un vecchio lamentoso, aggiustandosi la cravatta. «Tutti gli altri condomini sono già rientrati, altrimenti sarei stato qui al mio posto come al solito. Credevo che lei e i ragazzi foste via. Non vi aspettavamo fino alla prossima settimana.»
Osservai il vecchietto fare un grande sbadiglio senza neppure accennare a volermi aiutare.
«Già. Questa è quella che chiamano una vacanza di lavoro, Bert» risposi, passandogli accanto.
Bert mi bloccò a metà del corridoio che portava all’ascensore per caricarmi ulteriormente di posta e pacchetti.
«Non si preoccupi, Mr B. Con me il suo segreto è al sicuro» sussurrò il vecchio barbogio, ammiccando verso le sei birre. «Ho letto del suo caso sul Post. Chi può biasimarla se decide di alzare un po’ il gomito?»
Alzai gli occhi al soffitto mentre la porta finalmente si chiudeva e l’ascensore cominciava a salire.
Proprio quello di cui non avevo bisogno: un altro vecchio che faceva lo spiritoso. Non vedevo l’ora di passare una serata senza Seamus.