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Alla luce scintillante del lampadario di cristallo intagliato, Berger si portò una cozza tiepida all’altezza degli occhi come farebbe un gioielliere con una gemma rara. Dall’angolo della sala, il piano suonava una cadenza del Concerto per pianoforte n. 20 di Mozart. In re minore, se Berger non andava errato. E non andava errato, visto che, come Wittgenstein, possedeva il dono dell’orecchio assoluto.
Berger aprì abilmente il guscio tiepido con i pollici e staccò il mollusco liscio color giallo pallido. Il rumore forte e gutturale che produsse risucchiandolo in bocca coprì per un istante la musica di Mozart.
Berger masticò lentamente, protraendo al massimo la sensazione. Adorava le cozze fresche. Avevano un gusto così pungente, di mare. Quella sera il sapore era accentuato da un brodino semplice e perfetto di limone, vino bianco e dragoncello. Il tovagliolo di damasco infilato nel colletto della camicia era zuppo di quel brodo inebriante e questo rendeva l’esperienza ancora più intensa.
Di solito gli piaceva godere di una varietà di piatti, ma talvolta, come quella sera, si incapricciava di una cosa in particolare e ne mangiava per ore.
Era per così dire una gara, una maratona culinaria.
Deglutì, ruttò e buttò il guscio vuoto nella ciotola stracolma accanto a sé. Così tante cozze, così poco tempo!
Si stava portando alla bocca il successivo gioiello nero del mare quando la musica cambiò. Alcuni camerieri uscirono dalla cucina spingendo un’enorme torta di compleanno bianca su un carrello d’argento. Le candeline scintillanti infilzate sfrigolavano luminose nella semioscurità della sala da pranzo.
«Nous te souhaitons un joyeux anniversaire» cantava lo staff. «Nos voeux de bonheur profonds et sincères. Beaucoup d’amour et une santé de fer. Un joyeux anniversaire!»
Era Bon Anniversaire, la versione francese di Happy Birthday.
Berger agitava la cozza che stringeva tra le dita a tempo con la musica quasi fosse la bacchetta di un direttore d’orchestra. Era il loro modo di dirgli addio, capì. Quello era il suo ultimo pasto.
Quando la canzone terminò e lo staff stava per ritirarsi, Berger batté con forza la forchetta contro il bicchiere da vino.
«No, no. Vi prego, aspettate» disse. «Sommelier, per favore. Bicchieri per tutti, anche per lei. Vada a prendere lo champagne.»
Un attimo dopo dalla cucina uscirono carrelli stracolmi di secchielli da ghiaccio antichi in argento, dentro i quali c’erano bottiglie di Salon Le Mesnil del 1997, il meglio del meglio. Dopo lo champagne uscì lo staff al gran completo, tutti i camerieri, il sommelier, il maître, lo chef e i commis, persino il lavapiatti.
Berger fece un cenno col capo. Le bottiglie furono stappate, i bicchieri riempiti.
«Nel corso degli anni mi avete servito con grande garbo e competenza» disse Berger, alzando il bicchiere. «I momenti più felici della mia vita li ho passati in questa sala con voi. Voi mi avete offerto un lusso – anzi, un’intera vita – che non avrei mai avuto e neppure sognato senza il vostro servizio impeccabile. Per questo consentitemi di dire Skol, Salud, Sláinte e L’chaim a tutti voi.»
I camerieri sorrisero e fecero un cenno col capo. Il sommelier, il maître e lo chef brindarono facendo tintinnare i bicchieri, bevvero e li posarono. Uno dopo l’altro, tutti i presenti sfilarono davanti a Berger e gli fecero gli auguri prima di andarsene.
Il maître e lo chef furono gli ultimi a congedarsi da lui.
«Mio fratello verrà domani a prendere i tavoli e le sedie, signore» disse il maître. «È stato un piacere venire qui, nella sua casa, tutti questi anni per servirla in questa maniera unica. Spero che lei sia soddisfatto della nostra interpretazione di una piacevole esperienza culinaria.»
«Avete fatto un ottimo lavoro. Davvero eccellente» rispose Berger, impaziente di tornare al suo ultimo piatto di cozze.
«Signor Berger, la prego di concedermi ancora un momento» disse Michel Vasser, lo chef, un uomo alto con la barba. Originario di Lione, aveva fatto esperienza al Cordon Bleu e nei primi anni Ottanta aveva addirittura vinto il Bocuse D’Or.
«È stato un vero piacere servirla in questi dieci anni» disse lo chef. «Lei è stato più che generoso, specialmente nella buonuscita, e io volevo dirle che...»
Mentre l’uomo continuava a blaterare, Berger non riuscì più a trattenersi. Afferrò il piatto del pane posato accanto a sé. Con un sibilo il piatto passò a un millimetro dall’orecchio dello chef e andò a infrangersi contro il muro.
«Au revoir, mon ami» disse Berger, congedando quello stronzo con un gesto della mano.
Attese finché sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi, quindi aprì un altro guscio.