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Dopo essere passato a prendere Emily al suo albergo, trascorremmo la mattinata a interrogare membri dello staff del catering di Berger. Si rivelò una mattinata inutile. Di Berger conoscevano solo le strane abitudini alimentari. Di Carl Apt, i camerieri e i cuochi non sapevano assolutamente nulla.
Riuscimmo a metterci in contatto con la polizia dello Stato del Connecticut e chiedemmo che fosse messa sotto sorveglianza la tenuta di Berger. Non pensavo che Apt fosse così stupido da ritornarci, ma non si poteva mai sapere.
Ci eravamo appena seduti da DiNapoli’s sulla Madison Avenue per una breve pausa quando vidi il titolo scorrere sotto il conduttore di Fox News, sul televisore del bar acceso con l’audio azzerato.
«Miliardario sospettato di omicidio arrestato dalla polizia trovato senza vita.»
Mi passò di colpo l’appetito. Non ebbi bisogno di sentire o di leggere il resto della storia per capire che la dipartita di Lawrence Berger era arrivata sui notiziari alla velocità della luce. Emily e io stavamo appunto discutendo su come servirci dei media sfruttando la notizia del suicidio di Berger ed eravamo giunti alla conclusione che avremmo atteso il tempo necessario ad attirare Apt in una trappola. Mentre fissavo il televisore, però, pareva proprio che fossimo noi a essere stati fregati.
Stavo per ordinare quando ricevetti una chiamata. Non riconobbi il numero ma risposi comunque.
«Detective Bennett, ho bisogno di parlarle» disse una voce dall’accento francese.
Capii che era Jonathan Desaulniers, lo chef di Berger, con cui avevo parlato poco prima, quella mattina.
«Cosa c’è, Jonathan?»
«C’è una ragazza, Paulina Dulcine» proseguì lui, tutto agitato. «È una mia amica. Ogni tanto andava a letto con il signor Berger. Mi scuso per non essermelo ricordato durante il nostro colloquio. È durata circa tre anni, saltuariamente. Lei ha detto che forse il signor Berger uccideva persone che lo avevano fatto arrabbiare e, dopo aver parlato con lei, ho pensato a Paulina.»
«Lo ha fatto arrabbiare?» dissi. «E come? Cos’è successo?»
«Be’, per un lungo periodo hanno avuto una relazione affettuosa. Lui le regalava dei bei gioielli. Un giorno però le ha chiesto di fare una cosa che lei ha trovato strana, ed è scoppiata a ridere. Lui le ha ordinato di andarsene e non si sono mai più visti. Credo che il signor Berger si sia sentito umiliato.
«Il motivo per cui la chiamo adesso è che oggi ho telefonato a Paulina. Mentre stavamo parlando ho sentito un urlo e poi più niente. Da allora non ha più risposto.»
«Mi dia il suo numero di telefono e l’indirizzo» dissi, saltando in piedi e facendo segno a Emily di seguirmi.
Venti minuti dopo arrivammo a tutta velocità davanti a un grattacielo di trenta piani in Battery Park City con un’altra unità di detective della Grandi Crimini e due agenti in uniforme.
«Paulina Dulcine è in casa?» gridai al portiere mentre entravamo di corsa nell’atrio.
L’uomo di colore, snello ed effeminato, con una giacca nera in stile Nehru, rimase letteralmente a bocca aperta.
«Paulina, ehm... no. Mi è parso di vederla uscire dall’appartamento mentre consegnavo degli abiti arrivati dalla lavanderia.»
«Dall’atrio non è passata» disse la donna che insieme a lui si occupava della portineria.
«Deve aver preso la macchina in garage» disse l’uomo, aprendo una porta.
Ci precipitammo giù per una rampa di scale nella buia caverna di cemento del garage. Il portinaio ci indicò un angolo dov’erano parcheggiati molti veicoli.
«Ma non ha senso» disse. «Vedete quella Smart blu? È la sua.»
Corremmo alla macchina. Dalla serratura della portiera spuntava mezza chiave spezzata. Emily si inginocchiò e recuperò una borsetta da sotto la macchina. La aprì e vi trovò dentro un borsellino di Gucci.
«È la sua, Mike» disse, aprendolo. «È l’auto di Paulina Dulcine. L’ha rapita. Siamo arrivati troppo tardi.»