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Un incidente avvenuto a mezzogiorno in cui erano coinvolte tre auto bloccava il traffico sulla Sunrise Highway tre chilometri a ovest di Hampton Bays su Long Island.
Al volante della sua Mercedes decappottabile, Carl Apt osservò un’auto della polizia stradale della contea di Suffolk superare le macchine ferme transitando sulla banchina erbosa tra le due carreggiate, seguita da un’ambulanza. Accigliato, si infilò gli occhiali da sole. Alzò l’aria condizionata a palla e premette il pulsante che azionava automaticamente la chiusura del tettuccio.
Perché aveva sfidato la sorte? si chiese, osservando i lampeggianti della volante. Sapeva che avrebbe già dovuto disfarsi della macchina.
Si prese la testa fra le mani. Cristo, com’era stanco. Il sole era come un punteruolo da ghiaccio infilato negli occhi. Un mal di testa lancinante lo tormentava dalle quattro del mattino, quando era uscito dallo scantinato attraverso una grata che si apriva sul marciapiede della Settantesima, di fianco al palazzo di Berger.
Cosa non avrebbe dato per un ultimo bagno nella vasca dell’attico!
Mentre aspettava nel traffico bloccato, osservò gli automobilisti intorno a lui. C’erano un sacco di Range Rover e berline Cadillac. Com’era il termine che Lawrence aveva coniato per quei cafoni? LIP, Long Island Parvenu.
Dopo qualche minuto, un paio di auto dietro di lui, un gruppo di adolescenti idioti, abbronzatura da lampada, capelli induriti dal gel e torso nudo, cominciarono a fare casino. Dalla Mustang decappottabile truccata cominciò a diffondersi un fastidioso martellare di bassi.
«Anywhere, anywhere, woo-whoo, woo-whoo» cantavano, a ritmo con l’ultimo successo estivo di The Show. Una ragazza grassa in calzoncini e reggiseno del bikini si mise in piedi sul sedile del passeggero, alzò le braccia sopra la testa e cominciò a dimenare le anche.
«Real slow, real slow, woo-whoo, woo-whoo» cantavano quegli stupidi che erano con lei.
Mentre li osservava nello specchietto retrovisore, sulla tempia di Carl scese una goccia di sudore. Gli venne voglia di prendere lo Steyr AUG nascosto per terra accanto a lui sotto una coperta e scaricare sull’auto tutti i trenta proiettili 5,56 NATO. Scendere, imbracciare il fucile d’assalto e sparare a raffica. Impastare i capelli di quel tamarro alla guida con il sangue, anziché col gel, e poi sparare alla schiena tatuata della troia, mettendo fine alla sua carriera di pole dancer e costringendola a vivere con un catetere per tutto il resto della sua miserabile vita.
Perché fermarsi lì? pensò. Dopo aver sparato sulla Mustang, avrebbe potuto facilmente far fuori altre trenta o quaranta persone sedute sulle loro auto prima che quegli imbecilli della polizia più avanti capissero cosa stava succedendo. Trasformare la Long Island Expressway in un campo di battaglia. Niente male come piano.
Invece, inspirò a fondo e mandò giù un Percocet mentre il traffico ricominciava lentamente a muoversi. Dopo un minuto, vide un varco attraverso la banchina e fece inversione di marcia.
Imboccò l’uscita successiva dell’autostrada e cominciò a incontrare piccoli shopping center seguiti da edifici più grandi di varie catene commerciali. Si infilò nella Roanoke Plaza, a Riverhead, e prese a girare lentamente per l’enorme piazzale.
Quando vide una Buick degli anni Novanta nel parcheggio di un Target si allontanò sgommando. Un chilometro più a est, si infilò in un piccolo centro commerciale dall’aria squallida che comprendeva una pizzeria, un ottico e un negozio chiamato Edible Arrangements. Fece il giro sul retro dell’edificio basso e decrepito, e parcheggiò la Mercedes accanto a un grosso cassonetto per l’immondizia.
Scese, chiuse la macchina a chiave e si avviò a piedi verso il parcheggio del Target. A metà strada si fermò in un negozio di ferramenta e comprò una coppia di cavi con morsetti, una latta di accenditore liquido e il cacciavite più grosso che riuscì a trovare.
«Sono diciannove dollari e novantanove, più le spese di spedizione» disse lo scemo con la casacca rossa dietro il bancone.
Carl lo fissò senza dire una parola.
«Scherzavo» disse il commesso, imbarazzato, porgendogli il resto.
Quando arrivò alla Buick parcheggiata fuori dal Target, Carl infilò il cacciavite nella fessura del finestrino e lo ruppe cercando di fare meno rumore possibile. Aprì la portiera e alzò il cofano. Con i cavi appena acquistati collegò il polo positivo della batteria alla bobina rossa dietro il motore.
Adesso che il quadro era alimentato, si inginocchiò davanti alla portiera aperta dalla parte del guidatore e con la lama del cacciavite ruppe la copertura in plastica della colonna dello sterzo. Poi, sempre aiutandosi con la punta dell’attrezzo, mise in contatto i terminali del solenoide di avviamento con la batteria. Il motore tossicchiò per un attimo, poi si accese con un brontolio.
Carl spazzò via i frammenti di vetro dal sedile, si mise al volante e si allontanò.
Tornò alla Mercedes parcheggiata, aprì la portiera e sparse l’accenditore per tutto l’interno dopo aver trasferito la sacca e il fucile d’assalto a bordo della Buick. Accese un’intera confezione di fiammiferi e con un brivido la lanciò sul sedile di quel gioiello su ruote.
Mentre ripartiva alla volta dell’autostrada, a bordo di quella Buick di merda, osservò l’abitacolo. Bicchieri vuoti di bibite di McDonald’s ovunque. Un plaid di pile con il logo dei Jets gettato sul sedile posteriore di finta pelle.
Ingoiò un’altra vitamina P, poi ci ripensò e ne mandò giù un’altra. Fece un respiro profondo, gonfiando le guance, e inspirò lentamente, contrariato.