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Alle otto e mezzo del mattino, Emily e io eravamo alla mia scrivania, a rileggere i fascicoli degli omicidi dividendoci una Red Bull.

Di tanto in tanto alzavo gli occhi dal fascicolo che stavo leggendo e mi ritrovavo a lanciare occhiate ai suoi capelli castano ramato ancora umidi per la doccia. Le cose stavano andando decisamente meglio. Dopo quella tanto sospirata svolta, ci eravamo rimessi in carreggiata.

Quando mi voltai di nuovo a guardarla, mi trovai a chiedermi che effetto avrebbe fatto passare il dito sul segno lasciato sulla sua pelle dalla spallina del reggiseno sotto la camicetta bianca.

Evidentemente ero di nuovo in vena di comportarmi male. Molto male.

«Cosa c’è?» disse lei, voltandosi lentamente e sorprendendomi. A quanto pare, anche i federali sono piuttosto astuti.

Senza battere ciglio scossi la lattina di Red Bull vuota. «Caffè?» dissi.

Ero appena andato a prendere due tazze di caffè quando Miriam varcò la porta della squadra Grandi Crimini.

«Devi fare qualche telefonata e rimandare la riunione di stamattina» dissi, prima che avesse il tempo di arrivare nel suo cubicolo. «Hai ricevuto i miei messaggi?»

«Non ti preoccupare, li ho ricevuti» rispose, buttando la borsa sulla scrivania. «Tutti e otto. Dimmi una cosa. E se questa faccenda del John Jay fosse solo un finto collegamento? Se non ne ricavassimo nulla?»

«Allora verremo esonerati dal caso come previsto» dissi. «Cos’abbiamo da perdere?»

«Non saprei... la mia prossima promozione?» rispose Miriam con aria funerea.

Uscii dal suo ufficio. Sapevo che stava scherzando. Se c’era una dura, quella era lei. Nonostante le pressioni cui era sottoposta, non aveva mai, neppure una volta, espresso commenti sul fatto che le indagini stavano andando a rilento. E non era poco, considerato che la nostra sala operativa si trovava al piano sotto l’ufficio del commissario.

Senza perdere tempo, Emily e io esponemmo al resto della squadra la nostra nuova teoria durante la riunione informativa del mattino. Per l’occasione si erano fermati anche i poliziotti che stavano smontando dal turno di notte.

«Nel rivedere i casi, il detective Bennett e io abbiamo trovato una serie di profili criminali che mal si accordano tra loro» disse Emily davanti alla lavagna ingombra. «Per cui abbiamo controllato più attentamente se ci fosse un collegamento tra le vittime e crediamo di averlo trovato, ieri sera.»

«Quale collegamento?» chiese il detective Schaller della Brooklyn North.

«Non ne siamo ancora del tutto sicuri» dissi, «ma è emerso che Stephanie Brill, una delle vittime dell’attentato alla Grand Central, ha frequentato il John Jay College of Criminal Justice nello stesso periodo in cui vi hanno studiato la madre di Angela Cavuto, la bambina assassinata, e quella di Aida Morales, la vittima dell’accoltellamento nel Bronx.»

«Le madri delle vittime hanno frequentato il John Jay?» disse Terry Brown, l’ultimo arrivato tra i detective. «E il nostro uomo uccide le figlie per vendetta? Da brivido.»

Dalla sala affollata di poliziotti e federali si levò una serie di borbottii confusi, ma vidi molti annuire pensierosi. Nel corso delle nostre riunioni ognuno era libero di dire ciò che pensava, e il fatto che nessuna tra le persone presenti, tutti scrupolosi professionisti, riuscisse a trovare un evidente punto debole nella mia teoria era un buon segno. Forse, dopotutto, avevamo davvero una pista da seguire.

Ho parlato troppo presto, pensai, quando una giovane agente dell’ATF mandata a rafforzare le file della nostra squadra Artificieri, si schiarì la gola.

«La città di New York ha un istituto di giustizia penale?» chiese.

«Ehi, guarda, pa’. Quei grattacieli sembrano proprio i nostri silos per il grano» disse un detective della polizia dal fondo della sala.

«Ora basta, gente» dissi per mettere a tacere le risatine che seguirono. «So che siete tutti sorpresi quanto me per questo sviluppo. Ma le cose si stanno finalmente chiarendo.»

Indicai la foto del poliziotto rimasto ucciso nell’attentato alla Grand Central, fissata alla lavagna.

«Sappiamo tutti perché siamo qui. È venuto il momento di chiudere questo caso.»

Conto alla rovescia: Un caso di Michael Bennet, negoziatore NYP
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