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Nella saletta polverosa del distretto, Lawrence Berger giaceva sdraiato su un fianco su un letto d’ospedale rinforzato preso a prestito dalla Brookhaven Obesity Clinic del Queens.
Le violente luci al neon facevano brillare il velo di sudore sul suo volto pallido. Berger fissava senza vederla la parete accanto a lui in una specie di trance.
All’inizio, quando era stato portato al distretto, la stranezza dell’ambiente nuovo, il tanfo di sporcizia dell’aria viziata e la puzza di caffè bruciato combinata con quella di sudore rancido e urina lo avevano sopraffatto a tal punto che si era vomitato addosso. Gli agenti di turno nella camera di sicurezza lo avevano lasciato immerso nel suo vomito per più di un’ora prima di portargli delle salviette di carta e un lenzuolo pulito.
Berger aveva sopportato quell’umiliazione ripensando al destino dei grandi uomini che nel corso della storia erano stati costretti a soffrire per mano di esseri inferiori. Grazie alla memoria quasi fotografica richiamò alla mente La morte di Socrate di Jacques-Louis David.
Pensò al detective Michael Bennett. Aveva seguito la sua carriera fin dal caso degli ostaggi nella cattedrale di St. Patrick. Per un certo tempo aveva persino provato una specie di legame psicologico con lui, una comunione quasi metafisica. Rendere la propria confessione proprio a lui era stato l’avverarsi di un sogno, la ciliegina su una torta preparata con cura.
Ora, però, la festa stava per finire, pensò con un sospiro.
Eppure, attraverso tutte le sue sofferenze e le sue riflessioni, continuava a tornare sempre alla stessa cosa. L’unica cosa. Quella cui tutto si riduceva, alla fine.
La sua famiglia. Suo nonno, suo padre e suo fratello. I suoi cari. Il sangue del suo sangue.
Suo nonno, Jason Berger, era stato un grand’uomo. Eroe della prima guerra mondiale, uomo d’affari e politico, era stato fondamentale non solo per lo sviluppo del sistema autostradale americano ma anche nella progettazione di molti ponti e superstrade della città di New York.
Suo padre, Samuel J. Berger, aveva portato avanti la tradizione familiare diventando uno dei primi imprenditori visionari dell’era dei computer. La società da lui fondata, la Berger Applications, era stata una delle prime società di capitali della Silicon Valley e, come dicevano i miliardari con modestia, «era andata piuttosto bene».
Poi c’era David, il fratello maggiore di Berger, quello più dotato in famiglia. A nove anni il suo talento per la composizione musicale gli aveva permesso di essere ammesso alla Juilliard, fatto del tutto eccezionale. All’età di quarantacinque anni, la sua leggendaria carriera come compositore cinematografico era seconda, forse, soltanto a quella di John Williams.
Avrebbe potuto facilmente vincere ben più di un Oscar se non fosse stato per il suo aperto disprezzo per l’industria cinematografica. A lui interessava soltanto creare bella musica, e quello faceva, talvolta nella sua casa sulle montagne di La Jolla. Talvolta nella sua villa in Borgogna. Lawrence non era mai stato invitato in nessuna delle due, ma aveva visto le foto su un articolo di Architectural Digest e sapeva che erano bellissime.
David era davvero un uomo semplice e garbato, come lo erano stati il loro padre e il loro nonno prima di lui. Avevano saputo tutti realizzare al meglio le loro potenzialità. Dopo tutto, erano dei Berger. Tutti tranne lui, ovviamente. Lawrence. Il povero, misero, pigro, imbarazzante Lawrence.
Berger sorrise al soffitto della sua cella.
C’era voluto un secolo perché la famiglia Berger realizzasse i suoi incredibili successi.
Se tutto fosse andato come previsto, e tutto lasciava immaginare che così sarebbe stato, lui sarebbe riuscito a vanificarli in una settimana.
Scusa, nonno. Scusa, papà. Scusa, fratellone, pensò Berger con una scrollatina di spalle. Guardate il lato positivo. Il nome Berger verrà ricordato. Anche se non nel modo che avreste voluto voi.
L’ultimo dono di Lawrence sarebbe stato recapitato al suo retto e talentuoso fratello. Era il filmato di tutti i crimini accuratamente pianificati da Lawrence. Non era ancora completo: c’erano da aggiungere alcune scene clou, ma sapeva che sarebbe venuto un ottimo lavoro. Non avrebbe potuto affidare i suoi ultimi desideri a mani più competenti.
David avrebbe dovuto riflettere su quel filmato, interrogarsi e, magari, orchestrarlo.
Lawrence sapeva di non essere Spielberg, e neppure Scorsese o Coppola, ma forse un giorno suo fratello sarebbe potuto arrivare a capire che anche lui aveva un po’ di talento.
Era chiedere troppo?