14

Domenica pomeriggio tardi ero ancora alla scrivania. Avevo passato le ultime due ore a scorrere i database di polizia e FBI alla ricerca di casi ancora aperti in cui risultasse coinvolto qualcuno di nome Lawrence. Ne trovai alcuni, ma non sembravano aver a che fare con esplosivi o attentatori. Dopo aver passato al setaccio tutti quei casi, mi sentivo gli occhi come lampioni.

Alzai lo sguardo dal computer e notai la vignetta appesa alla parete del mio cubicolo: due poliziotti stavano arrestando un tizio accanto a Pillsbury Doughboy privo di vita. «Le sue impronte digitali corrispondono a quella trovata sulla pancia della vittima» stava dicendo uno dei due.

Se solo mi fosse capitato un colpo di fortuna come quello, pensai, lasciandomi sfuggire un gemito mentre mi sfregavo gli occhi stanchi.

Sparpagliati per la stanza, alle mie spalle, altri cinque o sei detective della squadra Grandi Crimini seguivano la pista dell’esplosivo europeo e interrogavano potenziali testimoni e dipendenti della biblioteca. Fino a quel momento non avevano trovato assolutamente nulla, come me. Non avendo testimoni o possibili sospettati da collegare all’inquietante accaduto, ero pronto a scommettere che per un po’ non ci sarebbero stati sviluppi. Per lo meno, fino a quando il nostro sconosciuto non avesse colpito di nuovo. Pensiero deprimente quanto angosciante.

Quando finalmente staccai e me ne tornai a Breezy Point, si stava facendo buio. Per fortuna il grosso del traffico era in senso contrario, da Long Island verso il centro, per cui una volta tanto impiegai poco tempo.

La mia banda mi aveva preparato una sorpresa. Quando entrai, trovai Trent seduto tutto solo in soggiorno.

«Ehi, amico, dove sono gli altri?»

«Finalmente» disse lui, posando il mazzo di carte con cui stava giocando. Prese i miei calzoncini da bagno posati sul divano accanto a lui e me li lanciò.

Si alzò e incrociò le braccia.

«Devi metterti questi e seguirmi» disse, misterioso.

«Dove?» chiesi.

«Niente domande» rispose.

La mia famiglia era più pazza di me, pensai, dopo essermi cambiato, mentre seguivo Trent per i due isolati che portavano alla spiaggia buia. Giù, verso la battigia, vidi delle persone radunate intorno a un falò. I Black Eyed Peas cantavano I Gotta Feeling a tutto volume.

«Sorpresa!» gridarono tutti quando li raggiunsi.

Mi avvicinai a passo incerto, incredulo. C’erano tutti. Avevano portato la griglia e sentii l’odore di costolette alla brace. Su una coperta era posata una tinozza piena di ghiaccio con dentro delle bibite e un vassoio di S’mores. Era in corso un beach party in puro stile Bennett.

«Cosa diavolo succede? Non è il mio compleanno.»

«Dato che ti sei perso una giornata alla spiaggia» disse Mary Catherine, uscendo dall’oscurità e porgendomi un gigantesco bicchiere di plastica fosforescente pieno di margarita, «abbiamo pensato che potesse farti piacere goderti la serata. È stata un’idea dei ragazzi.»

«Uau!» feci io.

«Noi ti vogliamo bene, papà» disse Jane, mettendomi una corona hawaiana di fiori finti intorno al collo e dandomi un bacio. «Ti sorprende?»

«Sì, paparino, ti vogliamo un mondo di bene» fece eco Ricky, lanciandomi una palla da football bagnata fradicia. Riuscii a prenderla senza versare neppure un goccio dal bicchiere.

Dopo aver bevuto qualche altro margarita per ammazzare lo stress ed essermi fatto un sacco di risate nel vedere Seamus ballare al ritmo di Wipe Out, ero pronto per un bagno. Chiamai tutti a raccolta e tracciai una linea nella sabbia con il tallone.

«Okay. Pronti, partenza...»

Erano già partiti, quei piccoli imbroglioni. Entrai in mare un secondo dopo di loro. Impattai contro l’acqua a faccia in avanti, una bomba di sale e di freddo che mi esplose in faccia contro la testa. Accidenti, ne avevo proprio bisogno. La mia famiglia era fantastica e io ero davvero fortunato. Lo eravamo tutti.

Lasciai che un’onda mi portasse a riva, mi alzai e afferrai un esserino che odorava di S’more, me lo caricai su una spalla e attesi l’onda successiva. Tutti urlavano e ridevano.

Alzai gli occhi verso il cielo della notte, assalito dal freddo e dalla paura. Sentii un ruggito e vidi un’altra onda venire dritta verso di noi. Urlammo, come per metterla in fuga, ma quella non volle sentir ragioni. Continuò a venire verso di noi.

«Tieniti forte!» gridai, mentre dita piccole e appiccicose mi affondavano tra i capelli.

Conto alla rovescia: Un caso di Michael Bennet, negoziatore NYP
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