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Con l’acceleratore a tavoletta, lampeggianti e sirena al massimo, mi aprii un varco nella corsia di sinistra della Brooklyn-Queens Expressway.
Un pickup Ford rosso tutto scalcagnato scampato alla rottamazione fece per tagliarmi la strada. Doveva avere gli specchietti retrovisori fuori uso, come le orecchie. Gli andai nel sedere fin quasi a salirgli sopra e lo costrinsi a spostarsi scaricandogli addosso l’intero repertorio della mia sirena.
Non c’era da meravigliarsi che fossi così bellicoso. Quanto stava succedendo aveva dell’incredibile. La presenza della polizia era stata rafforzata in tutti i luoghi pubblici più importanti della città, eppure il nostro attentatore era riuscito a far esplodere altri ordigni. E tutti nello stesso istante, mentre andavano in onda i talk show del mattino!
Ripensai alla scena del crimine della sera precedente.
Mentre passavo a tutta velocità davanti a un tratto particolarmente brutto di case tutte uguali e cantieri mezzi ultimati, afferrai il BlackBerry. Parlare al telefono era oltremodo stupido e imprudente, considerato che stavo guidando a una velocità folle, ma cosa ci potevo fare? Quella mattina, «stupido» e «imprudente» erano il mio secondo e terzo nome. Era venuto il momento di consultarmi con Emily Parker al Violent Criminal Apprehension Program dell’FBI, giù in Virginia.
«Parker» disse Emily.
Le raccontai rapidamente della scena dell’omicidio della sera prima e della lettera del Figlio di Sam indirizzata a me.
«Quindi non solo qualcuno sta facendo esplodere bombe ogni tre secondi, ma a quanto pare il Figlio di Sam è tornato» dissi, concludendo. «E, come se non bastasse, fino a questo momento l’unico collegamento tra questi crimini sembra essere il desiderio di comunicare con me.»
«Pensi che i tre attentati terroristici siano collegati all’emulo del Figlio di Sam?» disse Emily. «È davvero bizzarro.»
Fu allora che mi ricordai di quanto aveva detto Ricky mentre scappavo via e per poco non precipitai giù dalla sopraelevata.
Il bombarolo pazzo colpisce ancora!
«Aspetta! Il bombarolo pazzo. Ma certo!» esclamai. «Non si tratta di un atto terroristico, Emily. Anche gli attentati sono crimini commessi per emulazione. Ci fu un bombarolo pazzo che terrorizzò New York negli anni Quaranta o Cinquanta, mi pare.»
«Aspetta un momento, Mike. Sono al computer» disse Emily.
La sentii digitare sulla tastiera.
«Mio Dio, Mike, hai ragione. È scritto qui, su Wikipedia. Si chiamava George Metesky. Lo chiamavano Mad Bomber, il bombarolo pazzo, e qui dice che negli anni Quaranta e Cinquanta seminò bombe in vari punti strategici di New York. Aspetta! Dice che piazzò bombe alla biblioteca civica e alla Grand Central.»
Scossi la testa.
«Dunque, di questo si tratta? Una o più persone stanno emulando le gesta di due famosi assassini contemporaneamente?»
«Ma in che modo?» disse Emily, allibita. «Pensa alla logistica. Come si fa a coordinare tutto? Cinque attentati dinamitardi e un duplice omicidio in meno di ventiquattr’ore?»
«Be’, dal livello di sofisticazione delle bombe è chiaro che non abbiamo a che fare con degli stupidi» dissi, tentando di afferrare il cellulare che mi stava sfuggendo di mano. Riuscii a riprenderlo al volo premendolo contro il petto.
Nell’attimo in cui alzai lo sguardo, cessai di pensare al caso. Anzi, il mio cervello smise del tutto di funzionare. Subito seguito dai polmoni.
Dietro una curva dell’autostrada, che stavo percorrendo a una velocità prossima a quella della luce, c’erano tre colonne di auto completamente ferme.