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Quando rientrai, dopo mezzanotte, dormivano tutti e quando, alle cinque, uscii dalla mia camera, vestito di tutto punto per andare al lavoro, ronfavano ancora.
Be’, quasi tutti, pensai, vedendo una luce in soggiorno. Entrai e vidi la lampada accesa accanto alla poltrona vuota nell’angolo. Stavo per spegnerla quando sentii delle risatine provenire da dietro la poltrona.
Mi sporsi per vedere. Era Bridget. Se ne stava seduta a gambe incrociate sul cuscino con il suo pigiamino di Phineas e Ferb e l’ultimo libro della serie Le 39 chiavi aperto in grembo.
«Ehi» sussurrai.
«Ciao, papà» rispose senza neppure alzare lo sguardo.
«Hmm, cosa ci fai alzata così presto?»
«Sto leggendo» rispose mia figlia, sottintendendo un «che scemo!»
«Perché non ti siedi in poltrona?»
«Non posso» disse Bridget, voltando pagina. «Devo leggere senza farmi vedere da Fiona. Mary Catherine ha indetto una gara a chi riesce a leggere più libri entro la fine dell’estate, e io credo di essere avanti di uno rispetto a Fi-Fi. Se mi vede leggere, cercherà di raggiungermi. E io non voglio che sospetti nulla.»
Sbattei le palpebre e annuii. Ma certo. Persino la lettura si trasformava in una competizione in una famiglia con dieci figli. Be’, per lo meno in una famiglia con dieci figli pazzi come i miei.
«Qual è il premio per il vincitore?» chiesi.
«Cena e cinema con Mary Catherine. Noi due sole.»
Niente male, pensai. Mi riproposi di passare dalla biblioteca prima di tornare a casa.
«Be’, continua pure» dissi, arruffandole i capelli, e mi diressi verso la porta d’ingresso. «E buona fortuna.»
Quando montai in macchina e partii era ancora buio. A un certo punto, tra Brooklyn e il Queens, uscii dall’autostrada e mi fermai a prendere qualcosa da mangiare in un diner. Fuori nel parcheggio, circondato da autotreni rombanti, chiamai la squadra dall’auto.
Non c’erano novità e, in un caso ad alta visibilità come il mio, questa era in realtà una pessima notizia, perché significava che Carl Apt, l’amico di Berger, era ancora uccel di bosco. Non c’era traccia di Apt né della Mercedes decappottabile che Berger teneva in un garage vicino al suo appartamento.
Ma, cosa peggiore, non c’era traccia di Carl Apt in nessuno dei database della città o dello Stato, nessun indirizzo conosciuto, nessun numero di previdenza sociale, nessuna patente. Nada. Forse avrei dovuto cominciare a leggere anch’io Le 39 chiavi, pensai, mentre avviavo il motore della Chevrolet, perché, qualunque cosa facessimo, quell’orribile, sconcertante caso non voleva saperne di chiudersi.
Mi trovavo sulla sopraelevata con il sole che finalmente stava sorgendo alla mia destra sul decrepito skyline del Queens, quando ricevetti una chiamata. Era Steve Makem, il sergente di turno al Diciannovesimo Distretto.
«Cosa c’è, sergente?»
«Lei è il responsabile del caso Berger, giusto? Senta questa. Sono appena venuti a prenderlo per portarlo all’udienza e lo hanno trovato cadavere nella camera di sicurezza.»
Avevo dei problemi a comprendere quanto mi era stato detto. Ricordando che avevo rischiato di lasciarci la pelle per aver continuato a guidare mentre ero al telefono, misi giù il cellulare e accostai al margine della strada.
«Può ripetere, Steve?» dissi.
«Stanno per arrivare i paramedici, ma l’ho visto, Mike. Humpty Dumpty è caduto dalla barella. Ha la faccia rossa come una fragola. Non ho mai visto una cosa del genere. Non so cosa, ma dev’essere successo qualcosa. Qualcosa di brutto.»