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Affamato e incavolato nero, continuai ad ascoltare la musica martellante dei Gov’t Mule mentre sfrecciavo verso le luci scintillanti della grande città. Alle nove e trenta in punto bussai alla porta della stanza di Emily.
Quando venne ad aprire rimasi sorpreso. Indossava un accappatoio.
«Ehi, Mike» disse l’agente Parker dopo che fui entrato, andando verso la stanza da letto della suite. «Karen non è ancora arrivata. Perché non ti siedi e bevi qualcosa mentre mi cambio?»
«Se proprio devo» risposi, vedendo una confezione da sei di Brooklyn Lager posata su un tavolino vicino alla porta del terrazzo.
Aprii le ante scorrevoli della porta che dava sul terrazzino della stanza e sorseggiai birra appoggiato alla ringhiera. La prima era ottima. La seconda ancora meglio. Giù in strada, davanti all’albergo, la coda dei taxi in attesa arrivava fino alla Central Park West. Uno dopo l’altro, entravano nel vialetto di accesso dell’albergo, dove ospiti ben vestiti e sorridenti salivano a bordo, diretti verso una serata in centro. Con la mia birra, l’aria afosa della notte e le luci romantiche della città mi sembrava di fare come loro. Almeno, quasi.
Decisi di brindare a quelle persone e a tutta la città. Ero orgoglioso di loro. Non avrebbero lasciato che Apt rovinasse la loro serata. Era questo che tutti i Carl Apt del mondo non riuscivano a capire, riflettei, mandando giù un sorso ghiacciato di birra. New York era proprio come la razza umana. Certo, puoi terrorizzarla, rallentare il suo passo, magari anche fermarla per un po’. Ma continuerà ad andare avanti. A qualunque costo. Era quella la qualità migliore di New York.
«Mike, dove sei?» mi chiamò Emily da dietro.
«Qua fuori» risposi, girandomi.
Mi bloccai di colpo, vedendo Emily sulla porta. Non indossava il solito tailleur da federale, ma un vestito blu notte. Un vestito corto, stretto sui fianchi e con una generosa scollatura. Mentre cercavo disperatamente di chiudere la mascella, lei fece scorrere un dito lungo il filo di perle che portava attorno al collo.
Ero ancora senza parole quando bussarono alla porta.
«È Karen?» riuscii finalmente a dire.
«Non so. Vai a vedere» rispose Emily.
Non era Karen. Erano due camerieri in giacca bianca del servizio in camera con due carrelli coperti da tovaglie bianche. Su uno c’erano due vassoi d’argento, sull’altro due secchielli per il ghiaccio, anch’essi d’argento. Spinsero i due carrelli sul terrazzo e portarono fuori due sedie. Il più anziano dei due camerieri stappò la prima bottiglia di champagne, poi mi rivolse un sorriso. «Devo stappare anche l’altra, signore?» mi chiese, riempiendo i due flûte.
«Non è necessario» rispose Emily, dandogli la mancia e congedandolo.