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«Under the boardwalk, down by the sea» intonai a gran voce, assorto, con gli occhi chiusi. «On a blanket with my baby is where I’ll be.»
Mi sembrava la canzone adatta per percorrere il sentiero sabbioso lungo la distesa grigia e azzurra dell’Atlantico. Purtroppo, ero l’unico a pensarla così. Un attimo dopo dai miei dieci figli si levò un coro di gemiti, buuu e pernacchie.
Io ringraziai con un cenno del capo, dando prova della mia proverbiale buona grazia anche quando mi trovo sotto pressione. Mai lasciar vedere che ti stanno facendo sudare, neppure in vacanza, d’estate, che, se ci pensate, è piuttosto dura.
Mi chiamo Michael Bennett e, da quanto mi risulta, sono ancora l’unico poliziotto di New York a vivere in un suo personale documentario familiare. Qualche spiritoso tra i miei colleghi mi chiama «detective Mike più dieci». In realtà, sarebbe più corretto «detective Mike più undici», contando anche nonno Seamus, cosa che faccio sempre visto che è più incorreggibile di tutti i miei dieci figli messi assieme.
Era l’inizio della seconda settimana della tanto sospirata vacanza della mia grande famiglia a Breezy Point, Queens, e io ero decisamente in vena di fare lo scemo. La casa, un piccolo cottage di centosettanta metri quadri sulla «Riviera irlandese», come la chiamano tutti i poliziotti e i vigili del fuoco che vi trascorrono le vacanze estive, era di proprietà della famiglia di mia madre, i Murphy, da una generazione. Era più affollata di una conigliera, ma ci offriva la possibilità di fare una non-stop di nuotate, hot dog, giochi da tavolo, birra e falò sulla spiaggia la sera.
Niente email. Niente congegni elettronici. Nessun dispositivo moderno di alcun genere, tranne un impianto di aria condizionata capriccioso e una bicicletta arrugginita dalla salsedine. Osservai Chrissy, la più piccola della nidiata, rincorrere una sterna, o forse era un piviere, lungo il margine del sentiero.
La Casa Bianca estiva dei Bennett era ufficialmente aperta.
Il tempo volava, e io cercavo di sfruttarlo al massimo. Come sempre. Per un genitore single di dieci figli, sfruttare al massimo qualunque cosa è la norma.
«Se non vi piacciono i Drifters, cosa ne dite di un po’ di Otis Redding?» chiesi. «Su, tutti insieme, al mio tre. ’Sitting on the Dock of the Bay’.»
«Ti sembra un buon esempio, Mike? Dobbiamo allungare il passo o arriveremo in ritardo» mi rimproverò Mary Catherine con il suo marcato accento irlandese.
Ho dimenticato di parlare di Mary Catherine. Probabilmente sono anche l’unico poliziotto di tutta New York che può contare su una baby sitter irlandese. A dire il vero, con quello che la pago, sarebbe più corretto definirla un angelo misericordioso e caritatevole. Scommetto che non passerà molto tempo prima che le intitolino una scuola cattolica: Santa Mary Catherine, protettrice dei poliziotti saccenti e del caos domestico.
La fanciulla, che è giovane e pure bella, aveva ragione. Come sempre. Eravamo diretti a St. Edmund su Oceanside Avenue per la messa delle cinque. La vacanza non era una valida scusa per saltare la messa, specialmente per noi, visto che mio nonno Seamus, oltre a essere un commediante, è anche un prete dalla vocazione tardiva.
Cos’altro? Ho detto che tutti i miei figli sono stati adottati? Due sono neri, due ispanici, uno asiatico, gli altri bianchi. Non si può dire che la nostra sia una famiglia tipica.
«Guarda, guarda» disse Seamus, sui gradini coperti di sabbia di St. Edmund, battendo col dito sull’orologio, quando finalmente ci vide arrivare. «Devono essere i dodici apostoli. No, non è possibile. Loro sarebbero arrivati in tempo per la messa. Su, entrate, infedeli, prima che io dimentichi di aver abdicato a ogni forma di violenza.»
«Scusa, padre» disse Chrissy, parole ripetute altre undici volte in ordine più o meno ascendente, da Shawna, Trent, Fiona, Bridget, Eddie, Ricky, Jane, Brian, Juliana – la più grande – Mary Catherine e per ultimo, ma non meno importante, dal sottoscritto.
Mentre cercavo inutilmente una panca che potesse ospitare una famiglia di dodici persone, Seamus mi posò una mano sul braccio.
«Per tua informazione, la messa di oggi è per Maeve» mi disse.
Maeve era la mia defunta moglie, la donna che aveva messo insieme la mia splendida e raccogliticcia famiglia prima di morire qualche anno dopo per un tumore alle ovaie. Certe mattine mi capitava ancora di svegliarmi e cercarla nel letto accanto a me, prima del momento brutale in cui mi ricordavo di essere rimasto solo.
Sorrisi e annuii, dandogli una carezza sulla guancia vizza.
«Ci mancherebbe altro, monsignore» risposi, mentre l’organo cominciava a suonare.