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Tornammo in centro, frustrati e accaldati, e andammo direttamente nell’ufficio di Miriam all’undicesimo piano del quartier generale per mostrarle il contenuto dei nastri delle telecamere di sicurezza.

«Che faccia tosta» osservai mentre scorrevano le immagini. «Rispetto a questo posto, il Plaza sembra un Days Inn, e lui se ne va in giro come se fosse il padrone. Ha pagato la stanza con un rotolo di biglietti da cento.»

«A che punto siamo col congelamento dei fondi di Berger?» chiese Emily.

«Gli ingranaggi della giustizia si muovono con lentezza. Anzi, in questa città, d’estate, si inchiodano» rispose Miriam, aggrottando la fronte. «L’ultima volta che ne ho sentito parlare mi hanno assicurato che li avremmo avuti prima di sera, ma era ieri. L’avvocato di Berger, Duques, è l’esecutore testamentario. Perché non gli fate una visita e vi appellate al suo senso civico? È improbabile, ma forse riusciremo a farlo smettere di parlare con la stampa per qualche minuto.»

Ci facemmo un altro bel viaggetto nel torrido ingorgo di mezzogiorno su fino a Midtown. L’ufficio di Allen Duques si trovava in Lexington Avenue, in un edificio a forma di pagoda con tutte le pareti di cristallo, di fronte alla Grand Central. Parcheggiai l’auto civetta al centro di una fermata dell’autobus sull’altro lato della strada congestionata da un traffico al limite della follia e abbassai l’aletta parasole per esporre il contrassegno della polizia di New York, per essere sicuro di ritrovarla al mio ritorno.

Lo studio si trovava al trentatreesimo piano e lo occupava per intero. Appena fuori dall’ascensore, ci accolse il nome dello studio, Hunt, Block & Bally, a lettere di acciaio inossidabile alte quasi un metro sulla parete di ciliegio del Brasile.

«Il signor Duques?» disse la brunetta addetta al ricevimento da dietro la porta di cristallo, quando chiedemmo di parlare con lui. Il suo viso raffinato da modella assunse un’aria sbigottita, come se le avessimo appena chiesto di spiegarci il significato della vita.

«Mi dispiace, ma il signor Duques è occupato per tutto il giorno» ci informò.

«Capisco, ma è importante» dissi, mostrandole il mio distintivo.

«Molto importante» aggiunse Emily, esibendo le credenziali dell’FBI tanto per abbondare.

Nonostante i poteri magici dei nostri distintivi, fummo costretti ad aspettare una decina di minuti prima che si facesse viva un’altra graziosa tirapiedi che dava l’idea di nutrirsi a giorni alterni.

Mentre la ragazza ci faceva strada lungo il corridoio, feci scorrere un dito sui pannelli di legno esotico che ricoprivano le pareti.

«Dunque è questo l’aspetto che hanno i corridoi del potere» osservai, annuendo pensoso.

Duques ci aspettava sorridente dietro un angolo, sulla soglia del suo ufficio. L’elegante gentiluomo occhialuto ci strinse la mano prima di invitarci a sedere nel suo elegantissimo ufficio. Mi ricordava il direttore del Carlyle, raffinato e perfetto, neanche una grinza sulla camicia bianca neppure quando si sedette. Io invece, nonostante l’aria condizionata, sudavo come un maiale in una Jacuzzi. Ma come facevano quei ricconi a essere sempre perfetti?

«Allora, cosa posso fare per la polizia di New York e per l’FBI?» ci chiese, dopo averci offerto un caffè, che noi rifiutammo. L’elegante avvocato di mezza età sembrava un tipo affabile e con i piedi per terra, cosa che non doveva essere facile per lui, considerando che i suoi calzini probabilmente costavano più delle mie scarpe.

«Ci chiedevamo se lei potesse darci una mano» dissi.

«Posso provarci» rispose, guardandoci con circospezione. «Qual è il problema?»

«Abbiamo motivo di credere che Carl Apt abbia ancora accesso ai fondi di Lawrence Berger» disse Emily. «A essere sinceri, stiamo preparando un mandato per congelare i beni di Berger, ma non sarà pronto prima di domani, al più presto. Sappiamo che lei è l’esecutore testamentario di Lawrence Berger e siamo qui per chiederle di bloccare qualunque movimento su tutti i depositi prima che venga ucciso qualcun altro.»

«Mmm. È un’impresa ardua» disse l’avvocato inclinandosi lentamente all’indietro con la poltroncina. «Voi date per certe troppe cose. Non sono neppure sicuro di dover ammettere che il mio cliente aveva contatti con il signor Apt.»

«È un’ipotesi assurda, lo capisco» ribattei. «Considerato che il suo cliente ha ammesso le circostanze e la propria responsabilità nella confessione che ha firmato prima di uccidersi.»

Duques si tolse gli occhiali e cominciò a mordicchiare un’astina.

«Una confessione firmata che intendo impugnare e rendere nulla» disse.

«Non siamo qui per polemizzare, signor Duques» disse Emily.

Posò un foglio di carta sulla scrivania dell’avvocato. Era la stampa di un’immagine ricavata dai nastri delle telecamere di sicurezza del Carlyle, che ritraeva Apt in compagnia della prostituta.

«Stamattina abbiamo trovato questa donna morta al Carlyle» disse Emily, battendo con un dito sulla stampa. «Apt ha pagato duemila dollari in contanti per la stanza in cui l’ha uccisa. Sappiamo che Apt non è benestante. Berger lo ha tolto dalla strada.»

«Presumibilmente» disse Duques, inarcando le sopracciglia.

«Giusto» dissi frugando nel fascicolo e mostrandogli l’ingrandimento di una foto della scena del crimine che mostrava il volto massacrato di Wendy Shackleton. «E, vede, qui è dove Apt ha presumibilmente colpito con violenza quello che presumibilmente era il volto di questa giovane donna, presumibilmente con la gamba di una sedia.»

A quel punto mi alzai.

«Te l’avevo detto che era una perdita di tempo» dissi a Emily. «Avremmo dovuto procurarci il mandato, prima.»

Mentre ce ne stavamo andando, anche Duques si alzò.

«Aspettate, mi dispiace» disse, sfregandosi gli occhi. «Certo che vi darò una mano. In realtà abbiamo un gruppo di persone che sta lavorando a questo. Dirò loro di bloccare tutte le operazioni. E se troverò qualche discrepanza, sarete i primi a saperlo anche se penso, in tutta sincerità, che potrebbe volerci un po’ di tempo. Il patrimonio del signor Berger supera gli ottocento milioni di dollari.»

«E qual è la sua percentuale?» dissi, ancora nei panni del poliziotto incazzato.

«Grazie, signor Duques» disse Emily, spingendomi fuori dalla stanza. «Sapevo che avrebbe fatto la cosa giusta.»

Conto alla rovescia: Un caso di Michael Bennet, negoziatore NYP
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